Centro Napoletano di Psicoanalisi

TOMBOY

Recensione di Fiorella Petrì

Un film delicato e senza sbavature. Una storia sulla difficoltà preadolescenziale di assumere una identità sessuale di cui, a volte, bugie, omissioni significative, sotterfugi, ne segnalano la complessità.

La protagonista di questo film è Laure, una ragazzina di 10 anni dall’espressione assorta, un po’triste, dolce e disorientata, dai rari sorrisi. La sua famiglia si è appena trasferita in un nuovo appartamento in una zona verde, residenziale nei dintorni di Parigi. 

Laure ha una sorellina di cinque anni, Jeanne, nel guardarle siamo subito colpiti dal differente abbigliamento e dal modo di porsi: la primogenita ha un aspetto e atteggiamenti da maschiaccio, e da qui il titolo del film Tomboy, la piccola abbigliata da “fatina” ha movenze estremamente femminili, in una scena accenna a movimenti di danza classica mentre la sorella suona con vigore un pianoforte giocattolo. 

Nel film la regista Céline Sciamma affronta il tema del diffuso disagio preadolescenziale legato ad un’identità sessuale ancora incerta, poco definita, in cui maschile/femminile possono essere in conflitto o sospesi. Laure ne è un esempio.  La protagonista non riesce a comunicare agli altri e, forse, neanche a sé stessa, il suo disagio e suoi dubbi identitari, li comunica solo attraverso il corpo e i suoi atteggiamenti. Nel conoscere Silvi, una coetanea, e il suo gruppetto di amici, si presenta come Mikael, e la vediamo, per essere accettata, mettersi in gioco e competere con gli altri maschi, sul piano della forza fisica e dell’atleticità.  Laure/Mikael si costringe, finanche, ad indossare il costume da bagno con una sorta di “pisello” artificiale di plastilina creato da lei, per non svelare al gruppo di amici il suo appartenere al genere femminile, per lei in questo momento della sua vita, vissuto come inaccettabile. Potremmo supporre in un’ottica psicoanalitica, che il genere femminile sia da Laure inconsciamente vissuto come mancante di quella supposta perfezione fallica caratterizzata da forza e sicurezza.

Ma veniamo ora ai genitori. Il film inizia con la scena in cui il padre insegna a guidare l’auto alla figlia e cogliamo in questa, come in altre scene, quanto questo padre, molto impegnato nel lavoro, sia affettuoso ma anche assente, un papà che negli scambi con la figlia vuole inconsapevolmente ritrovare e confermare la sua identità maschile ponendosi come oggetto da emulare e con cui identificarsi, non vediamo un papà che guarda ed apprezza la propria figlia nella sua alterità. Laure/Mikael gioca a carte con il padre che la immagina, in futuro, giocare con lui a poker, bevendo birra. Nella scena successiva, Laure “raggomitolandosi” nel letto si succhia il dito, forse per ricordare al padre quanto sia ancora piccola e, quanto stia attraversando un momento di solitudine e disagio, e lui, assorbito da sé stesso, le comunica solo che alla sua età faceva la stessa cosa, confermando l’idea che, ai suoi occhi, non riconosce alcuna differenza tra di loro. 

Cosa dire della madre? Una giovane donna anche lei assente emotivamente, immersa nel suo essere agli sgoccioli della gravidanza di un figlio maschio, una mamma che non sembra rendersi conto delle difficoltà della figlia, non ne nota gli atteggiamenti mascolini. In entrambe i genitori, tipica coppia della nostra contemporaneità, sembra essere messa in atto una potente negazione: nessuno vede, nessuno si pone domande, nessuno cerca di tradurre in parole i messaggi non verbali veicolati dalle espressioni, gli atteggiamenti e i comportamenti di Laure/Mikael che è palesemente in difficoltà e disorientata.

Altro personaggio significativo nel film è Lisa che pur se coetanea di Laure appare essere già entrata nella piena adolescenza, fisicamente ha forme più femminili ed è attratta da Mikael che coinvolgerà in un gioco seduttivo, facendole scoprire che il proprio corpo può essere desiderante e allo stesso tempo suscitare desiderio. 

 Le vacanze estive stanno volgendo a termine e la meraviglia di Lisa di non aver visto il nome di Mikael tra i compagni iscritti nella sua classe è un segnale d’allarme per Mikael.

Tomboy è un film sull’acquisizione dell’identità sessuale e il linguaggio del corpo in tutte le scene è in primo piano proprio per comunicare quanto sia, in certi casi, un percorso complesso e problematico.  Quando la madre scoprirà il “segreto” di Laure la costringerà con un atto di forza ad indossare un vestito femminile. Sono queste, immagini che colpiscono per la loro durezza e la mancanza di empatia, come se il comportamento violento della madre dovesse veicolare un solo significato senza poter dare spazio ad alcun dubbio, incertezza, interrogativi: “sei nata femmina e femmina devi essere!”. A questo diktat la protagonista reagisce stracciando il vestito da femminuccia, un gesto non solo oppositivo ma anche per sottolineare il necessario, anche se difficile percorso che ogni adolescente deve intraprendere soggettivamente per scoprire e dare dei confini alla propria identità. Céline Sciamma ha girato molte scene in cui vediamo Laure/Mikael attraversare o sostare in un bosco, metafora della crescita, sono immagini che trasmettono allo spettatore quanto sia naturale, anche se complesso, iniziare ad affrontare nel periodo preadolescenziale, il cammino verso l’assunzione della propria identità sessuale ma non solo.  

*Con la proiezione del film Tomboy è ripreso, dopo un lungo periodo di sospensione causa covid, l’appuntamento mensile “Dentro L’immagine” organizzato da Mavi Stanzione al Centro Napoletano di Psicoanalisi con la collaborazione di Francesca Geria. Il tema di quest’anno sarà: Tutti i bianchi sono uguali. Appartenenza e identità: inclusione/esclusione. Come di abitudine ogni proiezione sarà seguita da un vivace dibattito con i partecipanti in sala.

 

 

Titolo: Tomboy – Dati sul film: regia di Céline Sciamma, Francia 2021. – Genere: drammatico – Attori: Zoé Héran (Laure/Mikael) Sophie Cattani (la madre).