Centro Napoletano di Psicoanalisi

La sessualità umana: perversa, polimorfa, pervasiva.
Uno sguardo plurale
Report a cura di Maddalena Ligozzi

Il 28 e 29 gennaio 2023 nella magnifica cornice del complesso di San Domenico Maggiore si è svolto il convegno organizzato dal Centro Napoletano di Psicoanalisi: la sessualità umana: perversa, polimorfa, pervasiva.
Sin dal titolo si intuisce la direzione di un convegno che apre sul tema della sessualità in maniera plurale. Un coro di voci che però distinguendosi riesce a veicolare una pluralità di significati nuovi senza perdere il filo rosso che mi sentirei di individuare nell’essenza del discorso metapsicologico freudiano, mai tramontato: l’inconscio e la bisessualità, il conflitto tra istanze psichiche, la questione dinamica ed economica del portato pulsionale, il disimpasto pulsionale, le identificazioni e il destino del narcisismo, il corpo erogeno come fonte e meta pulsionale.
A monte e a valle di tutto ciò la domanda cruciale, talvolta implicita, è: cosa guardiamo nella stanza di analisi e come curiamo pazienti che ci interrogano su questioni identitarie e sulle vicissitudini della loro sessualità?
Sin d’ora direi che al di là delle singole specificità fenomeniche, lo sguardo dello psicoanalista, nei limiti della sua personale equazione, è in ascolto della soggettività che si rivela nella relazione analitica, non sempre immediatamente. Gli psicoanalisti si disinteressano del genere come costrutto sociopsicologico. L’idea del genere rischia di colonializzare la mente.
Ma proviamo a ripercorrere i momenti salienti di questo convegno.
Marina Galloni, nel ricordarci che il sessismo è il maggior crimine d’odio, propone una disamina storica che individua nelle norme esplicite e nei codici impliciti gli elementi discriminanti verso il genere femminile e ci racconta il pregiudizio di una presunta passività femminile nell’incontro erotico con l’uomo.
Questa passività, lungi dall’essere inerzia e inattività, se vista in un’ottica winnicottiana, ha un valore fondamentale che si situa nella capacità femminile, potenzialmente presente negli uomini e nelle donne, di essere, stare e sentire, in definitiva contenere. E’ uno stato psicofisico e mentale che sta alla base della capacità di attendere senza agire, tollerando disagio, incertezza e stati in via di definizione come quelli che impone il corpo nella pubertà e nella prima adolescenza.
Il discorso procede con le parole di Freud – dalla lettera a Fliess del 1 agosto 1899 – “…mi sto abituando all’idea di considerare ogni atto sessuale come un processo nel quale sono implicati quattro individui” . Almeno quattro precisa Riccardo Galiani e ci propone l’idea di una pluralità sessuale dell’inconscio. Nella relazione tra due individui è in gioco la combinatoria di differenti investimenti libidici e identificazioni sessuali. Il rapporto tra sessualità inconscia e manifesta si declina in termini onirici.
Credo che questo implichi due cose. La prima è che gli impulsi si possono soddisfare come attraverso il sogno, in una soluzione di compromesso tra istanze psichiche differenti, nel rispetto di quel che l’Io può tollerare … tendenzialmente. In secondo luogo possiamo dire che quel che appare come sessualità manifesta soddisfa dimensioni inconsce che ignoriamo.
Alla base di molti conflitti tra istanze psichiche che vengono messi in scena ogni giorno nelle vicissitudini esistenziali, c’è la disposizione inconscia alla bisessualità che ci accomuna. Credo sia questo il comune denominatore nei diversi interventi del convegno.
Secondo Riccardo Galiani la condizione transessuale tende a negare la bisessualità, perché significherebbe sentirsi “due volte sessuale e due volte secato”. Per cui si sceglie l’uno assoluto, tramite l’attraversamento del genere. Ma questa scelta può implicare sofferenza e frustrazione intensa.
Egli riporta l’esempio di Preciado che in “Sono un mostro che vi parla”, descrive la propria condizione trans come il passaggio doloroso da una gabbia all’altra.
Silvana Lombardi dal vertice della clinica dell’isteria, presenta la bisessualità psichica come tappa di un percorso evolutivo. In un corpo maltrattato e sofferente per la disorganizzazione di appetiti, la fluidità sembra avere a che fare con identificazioni conflittuali, piuttosto che con l’idea di libertà sessuale.
Anche Paola Marion converge sull’idea di una pluralità, che non è fluidità.
A partire dall’idea di un inconscio, non sessuato, ma plurale, si genera invece la possibilità di un incontro erotico con l’altro, intimo ed in parte sempre estraneo.
Nella relazione analitica tra due soggetti, analista e paziente, si realizza un dramma con tanti personaggi, dove non conta saturare definizioni identitarie, ma rivelarsi attraverso molteplici identificazioni.
Ma qual è il destino del narcisismo in certe forme di neosessualità?
Gemma Zontini ipotizza ci sia qualcosa di nuovo nella relazione con il sé e si chiede quale sia il destino del narcisismo.
Forse in queste forme nuove di sessualità si potrebbe parlare anche di neonarcisismi?
Qui entra in gioco la relazione tra corpo, io e ideale. L’azione psichica che si impone ad opera dell’Io, ha una funzione unificante tra corpo, io e ideale. In “Uno nessuno e centomila” di Pirandello io sono uno, ma sono quello e quell’altro ancora, muoio ogni attimo. Se l’azione psichica specifica unificante ad opera dell’Io funziona possiamo reggere di essere uno, nessuno e centomila a seconda dei casi.
Gemma Zontini suggerisce che in alcuni casi, per un deficit della nuova azione specifica, “l’uno” non si realizzi. Il corpo è indifferente all’Io: si fa specchio di sé, oltre sé. C’è un quantum di eccitamento dall’interno che ostacola l’azione psichica unitaria. Per dirla con Agamben, c’è un corpo di nuda vita che si impone. Abbiamo a che fare con l’Homunculus: un’integrazione abbozzata che si disinteressa dell’Io. In questi casi l’eccitamento non si riesce mai ad imbrigliare e diventa coazione a ripetere: il corpo può essere manipolato indefinitamente per raggiungere una soddisfazione che non si realizza mai. Non ci si rispecchia mai nel corpo. La chirurgia plastica può diventare una pratica estenuante per i continui aggiustamenti che mirano a raggiungere una forma mai veramente soddisfacente.
C’è poi un altro versante l’Io dell’onnipotenza infantile che è indifferente al corpo. Siamo nel mondo degli Avatar, una copia illusoria della propria onnipotenza primitiva. Qui i bisogni del corpo non hanno spazio.
Ne “Lo straniero di Camus” alla domanda mi vuoi sposare, si risponde “Per me è lo stesso”.
Ma come può sopravvivere il corpo senza che i suoi bisogni vengano accolti dall’Io indifferente?
Riccardo Galiani pensa che il corpo si ammala, se l’Io è indifferente.
De Renzis suggerisce l’idea di un corpo spettacolarizzato. Lo specchio di Narciso rimanda al selfie. Non riflette, ma estroflette. Allora lo sguardo su di sé, sembra chiedere: “Sono io?”
Il corpo non è soggetto, nemmeno in quello che restituisce. Possiamo allora parlare di improprietà del corpo: non si conosce la versione alternativa di sé, ma solo la sofferenza in cui si è.
In queste situazioni ci troviamo di fronte ad un disimpasto pulsionale, che ci pone le questioni di come possa avvenire la cura.

Ancora il corpo è il comune denominatore del discorso di Sergio Benvenuto: “l’anatomia è il destino nella misura in cui ciascuno è chiamato a sbrogliarselo nel modo che gli è proprio”.
Per il transessuale cambiare sesso è una questione di vita o di morte. Tuttavia molte volte i transessuali non sono disposti a considerare l’irreparabilità del passaggio all’altro sesso. La cultura liberatoria, tante volte esibita, può essere letta allora come un tentativo di liberarsi dall’irreparabilità di un gesto. Certe azioni sono irreversibili e la psicoanalisi mette in contatto con la sofferenza dell’irreparabilità del gesto.
Nel provare a concettualizzare alcune forme di sessualità non binarie, Baldassarro parte dalla considerazione che la pulsione sessuale non raggiunge mai una completa soddisfazione. Il piacere tende al nirvana, alla dissoluzione, ma la pulsione tende a sganciarsi dalla scarica stessa. Ci sono pulsioni che non si unificano mai del tutto sotto il primato genitale. Ogni soddisfazione del bisogno ha in sé una soddisfazione supplementare.
“Il sessuale è ciò che impregna la vita da sempre. Tutto è sessuale, perché passa nell’ombelico che connette organico e psichico … è ricerca della tensione e superamento immaginario della castrazione”.
Emerge l’idea di un originario andato perduto, un sostituto da ritrovare, l’oggetto fantasmatico seno. Allora la pulsione sessuale diventa autoerotica. La sessualità non perde mai la componente perversa polimorfa. Eros mantiene una dimensione sintetica legante, verso la vita, mentre la pulsione di morte è animata dalla libido che tende al nirvana. Si tratta di un gioco circolare che termina con la morte. Il sessuale infantile è plurale. La bisessualità concettualizzata da Freud è un sia maschio, sia femmina, va oltre i non binarismi.
Per Baldassarro il non binario è un infantile che aspira all’indifferenziato: può arrivare a un delirio di autogenerazione che non riconosce la differenza di generazione dove anche l’alterità viene rigettata.
Anche lo sguardo di Gianni De Renzis è sulle lotte, di liberazione, come le definisce lui, tra eros e censura. Spinta trasgressiva e spinta trascendente: l’eros ha una spinta infinitiva che tende alla dissoluzione.
L’eros tende a erodersi e crea erosione. Egli ricorda dalla Genesi che Eva e Adamo nel mangiare il frutto proibito, si scoprono nudi. Si coprono nelle parti genitali e poi vengono cacciati dal Paradiso. Hanno una pretesa di immortalità che viene ridimensionata dalla scoperta della nudità.
Nella lettera di San Paolo ai Romani si legge “… Senza la legge il peccato è morto (…) La legge è spirituale mentre io sono di carne (…) Il peccato abita in me. La legge del peccato è nelle mie membra”.
De Renzis cita anche il “Ferdinando” di Annibale Ruccello. Nell’incontro omosessuale tra Ferdinando e Don Catello si dice “Cercate la tenerezza e non il peccato Satana!” e in risposta: “Il piacere del peccato devi imparare altrimenti resti animale!”. Emerge quindi sia la proibizione del godimento, sia il godimento della proibizione.
Gianni De Renzis ricorda che Eros è una spinta implacabile e inappagabile, ma quando poi la sessualità perversa polimorfa va sotto il primato genitale, va sotto la legge. Anche Totem e tabù ci ricorda che la legge e la società producono rimozioni. Se si decostruisce la legge, il soggetto va verso l’infinito e il trascendente.
Allora quando le differenze diventano sottili, nelle classificazioni plurime, si va verso l’indifferenziato. Dove abbiamo il due c’è il rimando al contrasto: la coesistenza di maschio/femmina e buono/cattivo. Maschio e femmina, se prese in modo alternativo (aut/aut), rimandano all’uno in termini assoluti e totalizzanti.
Nel viverle come alternativa, c’è forse una protesta contro sé o/e un’attrazione verso l’altro.
L’idea “puoi/devi” implica una possibilità di realizzazione. In questo discorso si evince l’incertezza del referente corpo che non si possiede davvero, allora se ne rivendica la proprietà nei modi più disparati.
Quindi potremmo dedurre che se si sta nel cis si sta nell’area della bisessualità, dove nell’ uno del soggetto possono coesistere o confliggere identificazioni plurime, sia maschio, sia femmina.
Se si va verso il trans, l’idea di attraversare il genere, fa perdere la possibilità di usare l’uno, perché disloca ed estroflette. Si tratterebbe di una trasgressione che tende alla trascendenza.
Tornando alla cura, Manuela Fraire ci ricorda che in analisi va considerata la nostra equazione personale al fine di evitare intellettualizzazioni.
Se non fossimo presenti come soggetti nella situazione analitica, non potremmo pensare di ricostruire come il sessuale parla attraverso la regressione al passato e le teorie sessuali rimosse dell’analista. Vanno considerate le identificazioni dell’analista col proprio analista e le aspettative sul paziente. La censura è presente nella dimensione intersoggettiva e quindi nella relazione analitica. Non viene superata mai del tutto, ma ha un’azione positiva perché ispira le fantasie, relative ad esempio alla scena primaria e non solo.
L’immaginario è un compromesso che consente l’incontro tra la soggettività del paziente e dell’analista.
Mi piace pensare a quello che vi ho presentato come a un discorso insaturo che ha continuamente bisogno di essere alimentato da studio, esperienze e nuove scoperte. Similmente la cura in analisi può avanzare grazie alla soggettività e al desiderio dell’analista che nella stanza d’analisi incontra gradualmente la soggettività di un paziente che è sempre in parte familiare e in parte estraneo, in una relazione erotica intima e perturbante allo stesso tempo.

Maddalena Ligozzi