Centro Napoletano di Psicoanalisi

Il tempo in gioco: anacronismo e attualità nella temporalità analitica

A cura di Maddalena Ligozzi

Il 6 maggio 2023 a Napoli si è svolta un’interessante e ricca giornata intercentri tra il Centro Napoletano di Psicoanalisi e il Centro Psicoanalitico di Firenze. La temporalità vissuta in analisi e quella rivissuta e ripetuta dei traumi si incontrano e si incrociano nei discorsi di questa giornata.

Partendo dalla condizione tragica, “l’essere o il non essere”, di Amleto, Marina Breccia ci parla di quanto sia complesso per l’analista ritrovarsi con il paziente a giocare un tempo fuori sesto: un tempo dissestato dall’incesto e dal trauma. Il trauma, in quanto interruzione che blocca, influenza la percezione del tempo e del tempo vissuto in analisi.

“Contro-tempo” riprende, in musica, l’inserimento, nel canto fondamentale, di una voce che entra e si scandisce, non nei tempi forti della misura, ma in quelli “deboli” con effetto di contrasto ritmico con le altre voci – così Marina Breccia nel suo testo “Contro-tempo” allude al contrasto tra la linearità e la discontinuità del tempo vissuto e connotato dal trauma.

Controtempo è il ritmo temporale prevalente di molti corsi di vita, la cui linearità apparente è più l’esito di un’autorappresentazione, che censura o riformula, come intenzionali senza residui, le interruzioni, le deviazioni, i ripensamenti. J. Lennon cantava “Dammi la mano mentre attraversi la strada/la vita è ciò che ti succede mentre sei occupato a fare programmi”, ci ricorda Chiara Saraceno nella prefazione del testo di Marina Breccia, “Contro-tempo, la temporalità del pensiero e della storia nella clinica e nella letteratura”.

In musica le fughe di Bach, l’arte del controtempo, corrisponde a ciò che nel lavoro analitico è la capacità di ascolto del controtempo traumatico.

La ripetizione in analisi ha a che fare con la pulsione di morte che agisce sotto l’egida di un Super io sadico. Tuttavia la piccola varianza può essere un indicatore di cambiamento all’interno della ripetizione. Ed è questa opposizione temporale che diventa elemento di salvaguardia per un movimento temporale futuro che riprenda i suoi ritmi vitali. Il controtempo è una voce che entra e crea un contrasto ritmico con altre voci.

Marina Breccia ci descrive il caso clinico di una madre cieca che cerca di intervenire chirurgicamente su una figlia, non rispondente ai suoi canoni di bellezza. Forse è questo il modo che alcuni pazienti trovano per gestire i propri traumi: intervenire sui figli in un ritmo che ritorna uguale attraverso le generazioni. Nel caso clinico si osservano gli aspetti intrusivi dell’assenza.

Marina Breccia, però, abbraccia la prospettiva di una ripetizione che non è mai uguale. Il fuori di sesto è un andare oltre: la pulsione di morte si affianca ad una realtà esistenziale storica che nelle sue declinazioni religiose, antropologiche, tende a storicizzare lo psichico e psichicizzare lo storico.

Sulla paziente agiva un’opposizione che fermava il tempo. La coppia analitica si è sintonizzata su un tempo antico messo in scena alla ricerca di diramazioni dalla centralità del trauma. L’ascolto psicoanalitico è stato molto importante in attesa della piccola varianza che potesse essere analizzata.

Nella discussione viene ripresa l’idea di A. Green del conflitto che ha in sé due fronti di lotta, che nella psicosi divengono estremamente intensi: le pretese del nucleo familiare e la lotta contro le pulsioni.

Breccia però ci parla di un conflitto cooperativo che può creare una contaminazione generativa e non infettante. In analisi è cruciale lavorare sugli effetti meno evidenti della temporalità del trauma: un’eruzione che scombina una linearità. Il lavoro analitico vuole ripartire dove ci sono voragini.

Marina Breccia cita la Teoria di Rovelli: una stella che entra nella zona quantistica, non continua a cadere, ma rimbalza, tornando indietro, riallargando l’imbuto, formando “un buco bianco”, ovvero un buco nero ribaltato, in cui il tempo è rovesciato. Il buco bianco è un’ipotetica regione dello spazio-tempo e una singolarità dentro cui non si può entrare dall’esterno, ma dalla quale può uscire energia-materia e luce.

Ci sono pazienti che non sanno di essere pazienti: l’analisi può favorire un padroneggiamento autobiografico del trauma da parte dell’Io.

Il coprifuoco narcisistico è per Marina Breccia un ritiro riedificante per proteggersi dagli attacchi e per una comune sopravvivenza: un modo per ripararsi dalla pulsione, facendo passi molto lenti. L’analisi deve contribuire a una tessitura parallela al trauma che consenta l’investimento e le fantasie. Si tratta quindi di permanere a lungo nella palude e nei silenzi. Nella discussione il coprifuoco narcisistico, in quanto difesa dal rischio di bruciarsi inevitabilmente, suscita il ricordo della metafora di Freud sull’amore di transfert: all’improvviso un grido d’allarme per un incendio a teatro mentre la platea è intenta a guardare lo spettacolo.

Fausta Ferraro collega il discorso del coprifuoco narcicistico allo scudo protettivo freudiano, gettando lo sguardo sul complesso legame tra ripetizione, trauma e tempo.

In analisi i traumi silenti ci mettono a contatto con elementi enigmatici desideranti, che non fanno male e quindi sono inclusi intrattabili, paralleli al trauma, secondo Marina Breccia.

Considerando che l’intrasformabile rimane tale tra l’agito e il segreto, tuttavia il transfert ausiliario può essere una strada percorribile verso il lutto.

L’analista cerca di inserirsi nelle feritoie. Marina Breccia, giocando col suo cognome, ricorda che il lavoro analitico può fare breccia in tali feritoie. La clinica contemporanea ci interroga continuamente, specie quando i pazienti non sognano molto e abbiamo bisogno di esplorare altre tracce.

Anche Antonella Sassarego, ricordando Winnicott, ci parla di una ripetizione che non è mai identica. Winnicott ci chiede di ascoltare il paziente in noi.

Virginia De Micco invece getta lo sguardo sulla dimensione economica implicata nel trauma. Pensando a un tempo fermo tra ritorno e frattura, si interroga su un tempo che prima era incardinato e poi va fuori sesto.

Il trauma crea il divaricarsi di un intervallo temporale e può essere una dimensione formativa della psiche. Ci sono effetti negativi del trauma, ma anche formativi per il carattere: possono implicare prematurità e post temporalità, posteriorità del recupero. Il soggetto della ripetizione è l’Io che non passa.

Pertanto si crea una spina eccitatoria, un vortice affettivo. Nel testo freudiano Ricordare, ripetere e rielaborare viene descritto un ricordo che agisce nel presente, la ripetizione necessita di un tempo necessario, mai inutile. Ricordare, ripetere, rielaborare significa riprendere di nuovo, tornare a chiedere continuamente. Ciò che si presenta in analisi, va nuovamente lavorato. L’insistenza della ripetizione ci fa pensare al tempo lungo che ci vuole per immergersi nella resistenza.

La discussione sembra convergere sull’idea di un analista che a volte viene chiamato a essere come un’incubatrice: non può toccare il paziente se la ferita è profonda. Deve, inoltre, resistere alla spinta a soccorrere: può esserci come assente, con un ascolto intessuto dal proprio desiderio. In tal modo è un ascolto che funziona come entità deformante, retto da una dimensione desiderante.

A conclusione del suo intervento Virginia De Micco, prendendo a prestito la storia di due topini accomunati dal simile destino di essere caduti in un cesto di latte, racconta che mentre un topino affonda non vedendo speranza, l’altro comincia a girare in tondo e si ritrova salvo su un pezzetto di burro. Si tratta di lavorare non solo sulle tracce, ma anche sulle brecce quindi.

Stefano Calamandrei inizia il suo contributo ricordando uno spettacolo di Amleto visto in un contesto suggestivo. Racconta di essersi sentito molto sorpreso dall’irrompere sulla scena di un cavallo al galoppo che per lui rappresenterebbe l’Edipo traumatico. Riccardo Galiani suggerisce che invece il cavallo che irrompe potrebbe rappresentare la pulsione, laddove l’Edipo sarebbe l’intera la scena.

Ad ogni modo nella relazione analitica ci viene chiesto di stare nel traumatico psicoanaliticamente, avendo nella mente una dimensione spazio-temporale complessa, forse mai lineare.

Winnicott pensa che per Amleto il problema sia essenzialmente sempre quello di “essere”. L’opzione “non essere” è paradossale: si può forse costruire qualcosa sul non essere?

Ricordando L’Amleto di Green, viene evidenziata la dimensione di scacco nella quale viene messo Amleto perché Claudio fa quello che voleva fare lui: uccidere il padre e giacere con la madre.

Alcuni pazienti hanno bisogno di sperimentare il vuoto: non succede nulla mentre dovrebbe succedere qualcosa. In analisi questi pazienti possono fare esperienza del provare a raffigurare.

Si converge senz’altro sull’idea che non esiste il trauma in sé: il trauma impegna molto sul piano clinico nella relazione unica e irripetibile con il paziente. Non si limita al fattuale, ed è poco inquadrabile in categorie diagnostiche.

Nel pomeriggio i casi clinici presentati da Eleonora Cocozza e Cecilia Ieri ci aiutano a raffigurare la capacità creativa della relazione analitica e a riconoscerne nel contempo i limiti in quelle condizioni poco prima definite intrasformabili.

A conclusione di questa piacevole discussione, mi è parsa interessante la proposta di Marina Breccia di tradurre tempo con nature. Il tempo vissuto è composto, partecipa all’ambiente in un nesso con la dimensione economica sullo sfondo.

Riferimenti bibliografici

Breccia, M, 2022, Contro-tempo. La temporalità del pensiero e della storia nella clinica e nella letteratura, Mimesis, 2022.

Freud S, 1914, Ricordare, ripetere, rielaborare, in Opere, vol. 7 (1912-14), Bollati Boringhieri, Torino 1975.

Green, A, 1982, Amleto e Amleto. Una rappresentazione psicoanalitica della rappresentazione, Borla, 1991

Winnicott, D.W., 1963, La paura del crollo, in Esplorazioni psicoanalitiche, Raffaello Cortina Editore, 1995.