Centro Napoletano di Psicoanalisi

Legami nella contemporaneità. Alterità e processi di soggettivazione

L’Altro intersoggettivo, l’altro intrapsichico e la prova della cultura.

Silvana Lombardi, 16 dicembre 2023

L’attenzione alla relazione fra il Soggetto e l’Altro è divenuta, a mio avviso, in tempi relativamente recenti, interesse della Psicoanalisi, pur mantenendosi sempre viva la cura dell’oggettualità con lo studio della relazione fra l’Io e l’oggetto. L’orizzonte dell’oggettualità viene, quindi, continuamente valicato per poter visitare nuovi scenari. Non di rado perturbanti.

Mentre l’Io e il Soggetto mantengono aree di sovrapposizione, l’oggetto e l’Altro mettono in gioco prospettive differenti circa il senso della relazione e del suo potenziale costruttivo della vita psichica.

Il lemma oggetto, nell’Enciclopedia di Psicoanalisi, viene illustrato [Laplanche e Pontalis , 1993] secondo tre possibili accezioni: in quanto correlato della pulsione; in quanto correlato dell’amore e dell’odio; in quanto oggetto “oggettivo” correlato del soggetto percipiente e conoscente, ovvero nel senso tradizionale della psicologia e della filosofia della conoscenza. Da Freud in poi, la psicoanalisi si è occupata di oggetto parziale, oggetto buono e oggetto cattivo, oggetto transizionale, oggetto-Sé, relazione oggettuale, scelta oggettuale, perdita dell’oggetto, oggetto della perdita, ombra dell’oggetto, amore oggettuale, scissione dell’oggetto, etc.

La tensione all’oggettualità pervade interamente il pensiero di Freud. In quest’ottica, le attuali critiche al binarismo sessuale, in quanto coercitivo della scelta amorosa, non ne tengono conto. Dal versante del femminile, sarebbe opportuno chiarire che : (cito M. Balsamo , 2022) la costruzione freudiana del divenire donna della bambina, come passaggio dall’eccitabilità clitoridea a quella vaginale … è una costruzione assolutamente personale (una forzatura!) il cui scopo è di condurre il soggetto umano dalla chiusura all’apertura, da una dimensione convessa ad una concava, che imponga, cioè, a ciascun sesso la necessità dell’altro. Come se, in altri termini, la posta in gioco fosse la coercizione che occorre attuare per spingere il soggetto umano fuori di sé, data l’irresistibile tendenza verso l’autocentramento narcisistico [ M. Balsamo , 2022]1

Come l’Altro ha conquistato l’interesse della psicoanalisi?

E, quindi, nella psiche, dove se ne annida la familiare estraneità?

Una certa alterità può essere riconosciuta tratto distintivo della madre già nella psicoanalisi immediatamente post-freudiana, in quanto altro polo della relazione col bambino: capace di suscitare sensazioni totalizzanti buone o cattive, cioè di amore o aggressività; o di essere dispensatrice sufficientemente buona di cure adeguate; o traduttrice di angosce in pensieri accettabili: è la madre della Klein, di Winnicott, di Bion. Più recentemente, autori di lingua francese [Guillaumin , 1989] ne fanno l’oggetto della perdita, privilegiando questa ineludibile esperienza di estraneamento del neonato come connotazione filogenetica. P. L. Assoun (2022), 2a sua volta, la descrive come l’Altro ancora anonimo, di cui il neonato per pulsione autoconservativa riesce ad attirare l’attenzione, sperimentandone gradualmente la soccorrevolezza ma anche l’ostilità. E’ dall’”umano accanto”, il Nebenmensch (p. 235) di Freud, che si delinea la figura materna3.

La questione dell’Altro è pienamente affrontata da Lacan, in quanto egli la pone in un registro diverso da quello dell’oggetto, sia pure con un piccolo confine di contiguità.

Chemama e Vanderberg ci danno una breve sintesi del suo pensiero in merito.

Da una parte, vi è l’oggetto (familiare) rispetto al quale si organizza il desiderio del soggetto. Esso è portatore, nella sua prossimità, di una piccola alterità, che suscita, in quanto collocata nella dimensione dell’immaginario, amore e/o aggressività, ma, grazie ai meccanismi di identificazione immaginaria, addiviene, alla fine, ad una conciliazione fra i due attori della relazione. Dall’ altra parte, vi è un’Alterità radicale che precede e sovrasta il soggetto stesso, il cui confronto contribuisce alla sua formazione e determinazione: un grande A irriducibile che, nel momento in cui il soggetto cerca di padroneggiarlo, viene da questo introdotto in un ordine superiore: quello del simbolico. Ciò che ne residua è il reale. Nel percorso edipico, l’Alterità radicale è tanto del Padre, che indica la differenza dei tempi e delle generazioni, quanto della Madre, resa tale dal divieto d’incesto. L’Alterità radicale coincide, nella sua totale estraneità al soggetto, con la Cosa in sé. Bene supremo, ma inaccessibile ed estraneo. Il residuo del processo di acquisizione di senso che caratterizza il soggetto lacaniano è, evidentemente, enorme: esso è, tuttavia, delimitato dall’intervento fondamentale del significante paterno. Affinché questo avvenga, è necessario che sia la madre a introdurre la parola paterna, mentre grazie all’identificazione originaria (introiezione?, incorporazione?) di ciascuno con il Padre della personale preistoria4, il cammino della pulsione verso l’altro, sull’interdetto al godimento incestuoso, può procedere.

Il discorso di Lacan ci conduce, pertanto, a declinare il senso dell’alterità dall’estraneità alla prossimità. Poiché il registro dell’immaginario è la dimensione in cui il soggetto sperimenta ed organizza se stesso nel mondo in cui vive, l’immagine che ha e dà di sé è il frutto delle identificazioni e del rispecchiamento nei suoi simili: cioè, di una identificazione immaginaria.

In Lacan l’Io (a sé alienato), il soggetto (diviso), l’oggetto (incerto) e l’altro sono esistenzialmente avvinti in un originale abbraccio intersoggettivo.

Il pensiero di Lacan ha molto contribuito alla moderna definizione dell’immaginario collettivo.

In filosofia (Dizionario Treccani), il concetto di immaginario (e quello similare di immaginazione) ha un’accezione ben diversa da quella che tradizionalmente ha racchiuso: di produrre, cioè, qualcosa di fittizio, illusorio e, quindi, inesistente ed irreale, come nel pensiero di Cartesio, Spinoza, Hobbes. Insomma, una forma di pensiero che consente una fuga dalla realtà. In una nuova accezione, l’immaginario è una funzione del pensiero che organizza i dati percettivi o integra i dati del reale verso il possibile. Kant considerava l’immaginario come organo di sintesi dei processi percettivi. Anche a partire da questi presupposti, l’attività immaginaria entra utilmente nella costituzione dell’immaginario collettivo ovvero di quel sistema di fantasia contenente pensieri e simboli condivisi da un gruppo sociale vasto e che lo identifica come tale.

Nonostante la vaghezza, questa definizione consente di riconoscere che l’immaginario collettivo è mitopoietico. Contribuisce, inoltre, al senso di essere se stessi poiché fornisce parametri in gran parte preriflessivi entro i quali le persone immaginano la loro esistenza sociale espressa ad esempio nella concezione del globale, del nazionale, dell’ordine morale del nostro tempo [M. Steger, P. James 2013].

In tal senso mi sembra che l’immaginario collettivo, in un certo periodo storico di una certa popolazione, ne raffini il passaggio da massa a comunità, con una propria connotazione storica e culturale. Esso conserva le acquisizioni di una memoria dell’umanità. Mi sembra anche che la denominazione di immaginario collettivo esprima maggiormente la sua provenienza umana di quanto non possa fare lo Zeitgeist, lo spirito del tempo. Questo ha una valenza esoterica ed antroposofica che materializza il Tempo in un’intelligenza angelica trascendente.

Nel nostro immaginario, ed ancor più nel nostro immaginario collettivo, l’altro si colloca su un confine che va dalla prossimità all’Alterità. Quanto più il fronte dell’Alterità è distante dal soggetto, tanto più corre il rischio di diventare “alteratio” 5ovvero territorio di deformazioni di un nucleo di verità ad opera di contenuti e dinamiche dell’immaginario dell’epoca. Analogamente, l’appartenenza allo stesso immaginario collettivo offre al soggetto un utile sostegno per approssimarsi all’esperienza dell’Alterità.

Il Soggetto moderno mi sembra eccezionalmente esposto ad un’offerta di alterità, che, apparentemente espressione di una realtà sociale continuamente dispiegata dall’informazione, difficilmente si dispone ai suoi bisogni identificatori e di soddisfazione oggettuale.

L’Alterità intesa come portatrice di novità, oggi come sempre, si propone come una sollecitazione ad un complesso lavoro di assimilazione. La si può accettare o provare a rifiutarla. Costituisce in ogni caso la trama e l’ordito della storia: viene veicolata, infatti, dal progresso scientifico, dalle invenzioni tecnologiche, dalla necessità di ridisegnare confini geografici o politici, dalla globalizzazione antropologica e commerciale.

L’incontro dell’altro, dell’estraneo, in un mondo in cui tutto può essere conosciuto, spiegato, razionalizzato, costituisce, a mio avviso, la moderna esperienza del perturbante: del ritrovamento dell’estraneo nel familiare [Freud, 1919].

La sensazione che procura è di spaesamento fino alla crisi identitaria, così frequente fra i giovani. Mentre nelle generazioni più mature mi sembra riconoscibile l’esperienza dell’incertezza intellettuale, dell’esser sempre di fronte a qualcosa in cui per così dire non ci si raccapezza che Freud, in una notazione iniziale e marginale, citando criticamente lo psichiatra E. Jentsch, utilizza come punto di partenza della sua analisi e mette al lavoro per portarci fino allo svelamento del rimosso.

E’ ben diversa la linea di pensiero che coglie la comparsa dell’alterità come prodotto intrapsichico.

A. Green procede a tal fine a partire dalla “teoria della triangolazione generalizzata a terzo sostituibile”, che consente di spiegare l’esperienza edipica non solo come formazione di un complesso infantile ma anche come un modello prodotto da una struttura della mente predeterminata. Si potrebbe dire che l’Edipo del bambino s’installa in quello dei suoi genitori. E’ favorito dal fatto che la mente ha una natura pulsionale, dunque antecedente alla scoperta dell’oggetto. Quest’ultimo, egli dice, è rivelatore della pulsione. Nell’ ambito di questa struttura triangolare si svolge la relazione d’oggetto che vede coinvolti ambedue i genitori, ma che all’inizio si presenta come un triangolo aperto, perché è solo la madre, la donna dotata di un corpo atto a questo, a potersi relazionare con gli occupanti degli altri due vertici: il padre e il bambino.

Questa introduzione al pensiero di Green esiterà nel punto momentaneamente conclusivo con cui egli indica la comparsa del padre edipico: si è preferito rendere ragione dei rapporti primari madre-bambino in termini di relazioni d’oggetto. Piuttosto che parlare di secondo oggetto a proposito del padre è meglio dire che la triangolazione inaugurata dalla sua esistenza allo stato presente tra la madre e il bambino fa sorgere “l’altro” dall’oggetto (1993)6.

Fino a questo momento, Green aveva seguito puntualmente la costruzione (ricostruzione ?) freudiana a partire dalla lunga fase a-conflittuale pre-edipica in cui il bambino può mantenere due investimenti simultanei: oggettuale per appoggio della madre, identificatorio con il padre, qualitativamente diversi ma quantitativamente sbilanciati a favore della prima [Freud, 1921]7. A mano a mano la soggettività del bambino viene scolpita: innanzitutto dalla piccola perdita di parte di sé attraverso la fase anale (il pezzetto di feci), poi dal dilemma della bisessualità. Quest’ultima è il tassello centrale del mosaico relazionale in cui si va trasformando l’originaria fusione madre-bambino, con l’intuizione di un rapporto primario (nel senso che ha preceduto l’esistenza del bambino stesso) fra la madre ed il padre. L’aggiustamento della triangolazione vede il padre come secondo oggetto ( nella visione classica) che, non solo separa i sessi, ma ancor più istituisce quell’ordine cronologico, delle generazioni, necessario alla realizzazione del soggetto.

La preferenza di Green per la nascita della figura paterna come altro piuttosto che come secondo oggetto è generosa di buoni auspici circa il futuro di una scoperta infantile in sé drammatica. Egli dice: … con l’inaugurazione di questa serie mediante “l’altro dall’oggetto” grazie agli spostamenti occasionali dalla presenza di questo terzo , “primo altro”, si aprono le esperienze infinite della terzeità” (1993)8. Questa acquisizione sarà generativa, cioè, di quella libertà ed autonomia che il soggetto, futura persona9, potrà gestire per tutta la vita. Non sfugge che la configurazione triangolare a terzo sostituibile può introdurre l’idea del caregiver paterno, in un’ottica più pertinente al genere che non al sesso.

La terzeità, inoltre, mi appare come una risoluzione alla questione che sempre accompagna il processo identificatorio: prototipo della relazione d’oggetto e elemento costruttivo della soggettività. Tale questione sta nell’interrogativo su ciò che resta del soggetto e dell’altro antecedenti al nuovo incontro.

Il pensiero di Green circa l’alterità rappresenta un’espansione di quello, che lo precede, di Winnicott e di Gaddini, sulla dialettica dell’estraneità-esternalizzazione dislocata fra Edipo e scena primaria10.

Eugenio Gaddini (1975) descrive il mondo del bambino molto piccolo certamente poco connotato dalla pulsionalità e dalla tumultuosa conflittualità del bambino freudiano ma non meno preda di angosce. Destabilizzanti oscillazioni fra beatitudini fusionali e sensazioni di perdita gli consentiranno una progressiva differenziazione fra sé e la madre, la quale, divenuta, nei momenti peggiori, estranea, potrà essere riconosciuta come esterna. Il primo oggetto esterno che ella gli veicola è il padre estraneo, come duplicazione meiotica di se stessa e con il quale ha un rapporto escludente, dando vita a quel fantasma di scena primaria che in questa fase iniziale può essere solo denegato. Solo progressivamente sarà foriero di una scissione in una madre ed un padre entrambi esterni per cui il padre diventerà pienamente il secondo oggetto, disponibile per la triangolazione. Da questo momento, il cui raggiungimento non è evolutivamente scontato ed a rischio di crolli patogeni di difficile recupero, il bambino potrà rivolgerglisi per i suoi bisogni identificatori ma anche di rassicurazione e protezione. Gaddini indica l’importanza della capacità del padre di fare anche da sostituto materno, quando la madre diventa estranea.

Questa apparente deviazione nel territorio dell’estraneità piuttosto che dell’alterità sembrerebbe complicare il valore che in quest’ultima cercavo di cogliere come potenziale ampliamento della conquista ai legami identificatori e, quindi, oggettuali.

Mi sembra, invece, più incisiva per illustrare in parte questioni di sofferenza del soggetto nel nostro attuale, attribuite appunto a carenze di padre. F. Ferraro (2014) 11indica una varietà di scenari in cui l’uso del padre offre innumerevoli varietà di transfert della figura della madre, talora drammaticamente salvifiche e, tuttavia, penalizzate dal rapporto invertito che vede il proprio padre esclusivamente, e non solo transitoriamente, portatore di funzioni materne. Esorta, però, a fare una distinzione, possibile nella situazione analitica, tra configurazioni manifeste e loro spessore metapsicologico.

Ora, mi sembra che l’ordine sociale e culturale cui apparteniamo crei nello psicoanalista dei punti d’inquietudine che al momento non sono stabilizzati ma alludono ad un transgenerazionale futuro.

La tecnologia medica applicata alla procreatività, la tensione sociale ad un’omologazione del maschile e del femminile, la straordinaria offerta di stimoli sensoriali attraverso i dispositivi elettronici sembrano cambiare i termini dei percorsi identitari. E di cui, per quanto aperti, gli individui devono pur sempre farsi soggetti.

Il paradigma psicoanalitico attuale forse si sta costituendo, così, intorno all’Alterità. Esso è anche esemplare per la rinuncia alla teoria o al modello come ombrello sotto cui trovare rifugio, rivisitando questi ultimi nell’ottica di Kuhn: cioè, del paradigma che, sulle fondamenta del sapere acquisito, introduce la parentesi temporale ed i contributi del contesto culturale proposti dal pensiero scientifico dell’epoca.

Vorrei concludere con alcune riflessioni, ormai ampiamente condivise, sulle caratteristiche della civiltà (occidentale) in cui viviamo. Peraltro, è sempre più frequente sentir parlare di società e modernità: meno di “civiltà”, forse perché questo termine viene sentito come divisivo rispetto ad altre, respinte come geograficamente e culturalmente marginali, proprio perché fondate su un diverso ordine.

A mio avviso, la maggior parte degli psicoanalisti ha difficoltà a rinunciare ai principi ,appresi dal padre fondatore, circa l’immutabilità della natura umana, perché radicata nel corporeo e nel biologico. Questi esitano nell’ipotesi di civiltà formulata da Freud, espressa dall’ordine sociale patriarcale che era l’ossatura del politico a lui contestuale. Desidero chiarire, tuttavia, che il suo pensiero produsse teoria e non paradigma perché al di là del momento storico.

C’è da chiedersi che cosa sia rimasto oggi del sociale di Freud. Molto poco.

Le attuali democrazie, che alcuni qualificano come pseudodemocrazie e democrazie palliative12, esprimono piuttosto un ordine tra “figli, tutti uguali, della stessa madre”. Dal normativista H.Kelsen, cito: “Nei limiti in cui il padre è l’archetipo dell’autorità, costituendo l’esperienza originaria in questo campo, la democrazia è, in accordo con la sua idea, una società senza padre” (1984)13.Rimozione e repressione, meccanismi difensivi necessari alla strutturazione dell’Io, ma anche generativi dell’ordine culturale, sono di difficile accettazione. Essi non sono più epifania del paterno.

Oggi mi sembra essere in corso un rimpasto in cui il conflitto fra natura e cultura sembra essersi invertito in conflitto fra cultura e natura. Penso al disagio di molti genitori che si sentono sabotati nel loro progetto educativo di figli piccoli e adolescenti a causa di incessanti proposte alternative provenienti dal contesto. D’altra parte, quale madre ai nostri giorni accetterebbe, in una deriva estrema, di essere emula di quella del Presidente Schreber?

Per tali ragioni, indicavo la possibilità di inediti scenari transgenerazionali di un ordine futuro. Quale sarà il suo simbolico? Quale la mitologia?

Silvana Lombardi

1 M. Balsamo, “L’anatomia è il destino” in Frontiere della Psicoanalisi, 2/2022, p. 230, Bologna, Il Mulino

2 P.L. Assoun, Dall’inconscio all’impersonale. Il godimento del neutro, in La persona e il suo intorno, (V. Rapone, G. Zontini a cura di), Roma, Alpes, 2022

3 S. Freud, ( 1895), Progetto di una psicologia e altri scritti, OSF, 2

4 S. Freud, (1921), Psicologia delle masse e analisi dell’Io, OSF, 9

5 Ionel Buse, Il mostro dei Carpazi – trasformazione di un mito, in Le frontiere dell’alterità , (P. Proietti, R. Boccali, a cura di), Sellerio, Palermo, 2009

6 A. Green, (1992), Freud, Edipo e noi in Slegare , Borla ,Roma, 1994

7 S. Freud, (1921), Psicologia delle masse e analisi dell’Io, O.S.F. 9

8 A. Green, (1993), Il lavoro del negativo, Borla, Roma, 1995

9 La persona va intesa come il soggetto sociale, con diritti e doveri: quindi anche soggetto giuridico. (V. Rapone, G. Zontini (2022), La persona e il suo intorno: attualità e prospettive di ricerca, Alpes, Roma, 2022)

10 Le riflessioni sull’utilizzo ed il confronto del pensiero di A. Green con quello di E. Gaddini sono fortemente improntate dall’articolo di F. Ferraro Il crocevia delle identificazioni fra Edipo e scena primaria (2014)

11 F. Ferraro, 2014, Il crocevia delle identificazioni tra scena primaria e Edipo p. 44 in Quaderni CNP, 5, 2014

12 Byung-Chul Han, La società senza dolore, Einaudi, Torino, 2021

13 H. Kelsen, I fondamenti della democrazia, in La democrazia, Il Mulino, Bologna, 1984