A’ cervella è ‘na sfoglia e’ cipolla
(Il cervello/la mente è come una sfoglia di cipolla)
Riccardo Galiani
Per una certa tradizione della ricerca psicoanalitica, le identificazioni inconsce sono in buona misura composte da tracce: tracce dello sguardo dell’altro poggiatosi su di noi, tracce del nostro sguardo poggiatosi su altro in cerca di un riflesso unificante. Queste tracce si sovrappongono, si stratificano, conservando sempre qualcosa dell’impronta che le ha formate, la loro origine. Forse possiamo ritrovare in questo il fondamento di quel grano di verità che molti riconoscono nell’ascolto di un proverbio napoletano, per il quale “la cervella è una sfoglia di cipolla”.
“La cervella” è il cervello, metonimia anatomica del risultato manifesto dell’individualità soggettiva: questo risultato, l’Io, è costituito da capo a piedi da identificazioni, proprio come la cipolla che incontra Peer Gynt, protagonista del testo eponimo di Henrik Ibsen (1867). L’incontro con la cipolla giunge come un momento di ricapitolazione, o meglio come un tentativo di ricostituzione di un’identità composita; ogni singolo velo della cipolla parla di Peer Gynt: strato dopo strato, cadono i diversi “personaggi” (il naufrago, lo studioso, l’imperatore …) che il montanaro Peer è diventato in relazione a quanti ha incontrato nel suo viaggio fantastico. È l’eco del canto dell’attesa di Solveig, che risuona dal luogo delle origini, a arrestare la spoliazione della cipolla.
L’accostamento Io/cipolla si ritrova, oltre che nel detto popolare, anche in Lacan. Parlando della differenza tra l’innamoramento (Verliebtheit) e il transfert, nella lezione del 5 maggio 1954 del suo primo seminario, Lacan afferma: “Nell’articolo su L’Io e l’Es … Freud scrive che l’io è fatto dalla successione delle sue identificazioni con gli oggetti amati che gli hanno permesso di prendere la sua forma. È un oggetto fatto come una cipolla, lo si potrebbe pelare e si troverebbero le identificazioni successive che lo hanno costituito” (Lacan, 1975, tr. it. p. 213).
Possiamo aggiungere che lo stadio dello specchio (Lacan, 1936, 1939), inteso come costrutto teorico, è uno strumento atto a mettere in evidenza il ruolo determinante dell’immaginario nella costituzione dell’io, giacché l’impronta della “forma” originaria di questo contorno avrà, da questo momento in poi, il potere di instaurare un “quadro simbolico” in cui si collocheranno le immagini offerte dagli altri cui l’io si identifica. Solo nella misura in cui l’io, nel suo essere formazione immaginaria, appare all’interno di questo quadro simbolico, la “spoliazione” della cipolla non procederà all’infinito, offrendo un’identificazione in grado di tenere, senza schiacciare l’Io sul modello. Le identificazioni immaginarie sono infatti potenzialmente infinite, e tutte soggette a “caduta”, proprio come le sfoglie della cipolla.