Ricordi di un’infanzia mai vissuta…
Virginia De Micco
Ricordi di un’infanzia mai vissuta…**
Virginia De Micco*
12.04.2025
Lucy, la scorbutica sorellina di Linus dei Peanuts di Schultz, sta finalmente per prendere la palla in una partita di baseball quando se la lascia sfuggire di mano, “ ma cosa avevi? Ancora il sole negli occhi?” le chiede un incredulo e irato Charlie Brown “no, ma mi sono venute in mente tutte le volte che non l’ho presa e l’ho mancata ancora: avevo il mio passato negli occhi”.
Un passato che acceca, un ricordo di quell’infanzia dimenticata ( sempre sottoposta all’amnesia infantile) eppure indimenticabile ( sarà sempre attorno a quella memoria ‘immemorabile’ , per dirla con Fédida, che continueremo a lavorare e rilavorare psichicamente), che paradossalmente sembra venirci incontro da fuori attraverso una dimensione sensoriale-allucinatoria, tanto quanto riemergere da dentro.
Questo vero e proprio ‘doppio statuto’ del ricordo infantile testimonia di tutto ciò che sembra restare ‘depositato’ in un luogo somatopsichico, da cui discendono le molteplici declinazioni dei termini che rimandano all’atto della memoria: ri-membrare , ri-cordare, ram-mentare. Qualcosa che deve essere rievocato/ripescato nel/dal corpo allora, dagli affetti e dalla mente; dimensione sensorial-affettiva e rappresentativa che si intrecciano anche nella più tipica manifestazione del ricordo d’infanzia, il ‘ricordo di copertura’, quel deck–errinnerung, cui Freud affida una funzione ‘deformativa’ sovrapponibile a quella del lavoro del sogno. I desideri inconsci, soprattutto quelli di marca edipica, che subiscono il lavoro di deformazione nel sogno, (le ent-stellungen, contemporaneamente trasposizioni e deformazioni ) sono anche oggetto della ‘copertura’ nel ricordo infantile, copertura che, come si ricorderà, è appunto ‘indicata’, svelata in un certo senso, da una particolare intensità sensoriale, il famoso colore giallo dei fiori nel ricordo infantile di Freud.
Potremmo allora parlare di un vero e proprio ‘lavoro di copertura’ dei ricordi d’infanzia? O di un infantile -un sessuale inconscio sempre traumatico perché sempre in eccesso rispetto alle capacità elaborative dell’apparato psichico- che lavora sempre ‘sotto copertura’ nell’infanzia stessa? Lavoro di ‘copertura’ che dunque deforma la memoria degli eventi, informando di sé al contempo la stessa dinamica rappresentativa e, soprattutto, autorappresentativa, la ‘costruzione’ stessa di una memoria su cui appoggiare la percezione di sé: la funzione autostoricizzante dell’Io, evocata da Piera Aulagnier, potrebbe allora essere intesa come una storia di copertura… (nella forma stessa delle coperture è depositato allora quell’immemoriale che non può tradursi in memorie).
Quei ‘ricordi d’infanzia’ , o forse addirittura di ‘un’infanzia’ quale che sia, appaiono dunque indispensabili per poterci ‘appoggiare’ sopra sensazioni, affetti ed emozioni, come ci ricorda Rachel, l’indimenticabile personaggio di Blade Runner, antesignana di tutti i ‘replicanti’ di umani che nascendo già adulti, già formati, non hanno il tempo e la possibilità di costruirsi proprio quei ricordi d’infanzia sul cui ruolo ci stiamo interrogando. Ricordi che dunque costituiscono proprio con la loro capacità di ‘copertura’, anche un tessuto connettivo, psicosomatico questa volta, che fa si che una funzione autostoricizzante dell’Io possa innescarsi. La memoria dell’infanzia allora come luogo di un trovato/creato piuttosto che di una attendibile ricostruzione dell’infantile?
In questo senso allora la ‘copertura’ assicurata dai ricordi d’infanzia non avverrebbe solo nei confronti di quei desideri inconsci infantili che vanno dissimulati, ma anche nei confronti di tutti quei ‘buchi nei discorsi dell’origine’ (Aulagnier) che sprofondano l’Io in un senza tempo, senza forma. Copertura allora nei confronti di un ‘mai accaduto’, un vuoto di psichicizzazione, qualcosa che doveva esserci e non c’e stato, un ‘nulla da ricordare’ allora, di cui però proprio la ‘copertura’ potrà forse consentire una ripresa e una riapertura: riapertura di qualcosa di originario che tanto è rimasto senza forma/ senza memoria tanto resta senza possibilità di oblio, di autentico superamento.
In questi casi si tratterà allora di costruire un ‘terreno di copertura’ per quei ‘crolli già avvenuti’, di winnicottiana memoria, in un passato immemoriale appunto, tanto indimenticabile quanto non ricordabile, oppure all’opposto si tratterà di ‘inciampare’ nella nostra stessa memoria più profonda, in quello che più intimamente ci appartiene ma in cui non possiamo riconoscerci. Qualcosa che ci verrà subitaneamente ricordato con una sorta di ‘scossa’, come accade ad esempio con le ‘pietre d’inciampo’ che rammentano le vittime dell’olocausto, o col ciottolo sporgente sotto il piede del narratore della Recherche proustiana che riattiva all’ istante la cascata retrospettiva del tempo ritrovato: in entrambi i casi una dislocazione percettiva che viene da sotto diventa un vero e proprio Kairos –tempo dell’azione di memoria- rivolto all’indietro.
Si tratterà allora di iscrivere nello spazio dell’analisi non solo la ‘memoria del futuro’ (Bion) ma anche ‘l’attesa del passato’, i ricordi dell ’infanzia mai vissuta.
*Virginia De Micco, Psicoanalista, Membro Ordinario SPI-IPA, Segretario Scientifico CNP 2025-2028
** Relazione introduttiva presentata al Seminario Intercentri CPdR-CNP 12 Aprile 2025
Riferimenti Bibliografici
Aulagnier P., La violenza dell’interpretazione, Borla, Roma, 1994
Bion W., Memoria del futuro, Cortina, Milano, 1998
Fédida P., Aprire la parola,Borla, Roma, 2002
Freud S., Ricordi di copertura, OSF, vol 2, 1899
Winnicott D., Paura del crollo, in Esplorazioni psicoanalitiche, Cortina, Milano, 1995