Perlaborazioni su “Ricordi d’Infanzia”- Intercentri CPdR-CNP 12 Aprile 2025
Costruzioni e ricostruzioni: tra il metodo e l’operare analitico
Maddalena Ligozzi*
Dal saggio su Leonardo: “Si dice che tutti i grandi uomini siano destinati a conservare qualcosa di
infantile” (Freud, 1910 p. 266).
Cecilia Ieri nel suo report sul Seminario Intercentri “Ricordi d’infanzia” tra il Centro Psicoanalitico di Roma
e il Centro Napoletano di Psicoanalisi che si è svolto a Roma sabato 12 aprile 2025 conclude …
“Di fronte all’invivibile del reale e all’impossibile conoscenza della realtà, all’inevitabile crollo
dell’onnipotenza e dell’illusione, le varie forme di infanzia, tra quella possibile proprio perché dimenticata e
l’altra, costruita perché necessaria, per poter vivere e divenire/restare sufficientemente vivi, se pur alle
prese con la catastrofe, la costruzione di souvenirs d’enfance diviene una necessaria e paradossale
possibilità di decostruzione del vuoto. (…)
Parafrasando Lyotard, l’infanzia costruita diviene possibilità di esposizione ad un improvviso e brutale
inimmaginabile che mina la figurabilità e la parola, ma al tempo stesso le convoca e le reclama.
L’infanzia, i ricordi sull’infanzia, sarebbero dunque possibile deriva e approdo, costruzioni dove si entra in
contatto con ciò che non è né nel mondo, né fuori dal mondo, ma un potenziale e nuovo “essere al mondo”,
alle prese con quell’appuntamento sempre anelato e al tempo stesso impossibile con la catastrofe, con un
continuo e al tempo stesso impossibile “venire al mondo”, cioè alle prese con qualcosa di originario”.
Riprendo queste conclusioni perché mi sembrano in continuità con le mie perlaborazioni. Nel setting
analitico scandito dal ritmo delle sedute la spinta alla ripetizione è messa al servizio del processo
trasformativo e rinvia a ciò che rimane in sospeso nell’attività di costruzione. Se in analisi perlaborare
significa lavorare attraverso ricordi che a volte sono riportati alla memoria, altre volte vengono agiti, questo
implica anche rielaborare resistenze che, parafrasando Freud, è un compito gravoso per l’analizzato e una
prova di pazienza per l’analista (Freud, 1914). Ma come si può intendere la perlaborazione fuori dalla stanza
d’analisi? Forse l’attesa fiduciosa, l’attenzione liberamente fluttuante, lo studio e l’esperienza clinica
possono favorire la generazione di nuovi nessi tra il ritorno all’originario, i ricordi d’infanzia, la figurabilità
dei ricordi …alcuni nodi trasversali emersi durante il seminario.
Allora vorrei interrogare ancora una volta il discorso freudiano attorno ai “ricordi d’infanzia”, seguendo due
direttrici intrecciate: da un lato ricordare il travaglio di Freud nella costruzione del metodo analitico,
dall’altro considerare la sua spinta a cercare connessioni tra discipline: la psicoanalisi, l’arte, la letteratura, la
storiografia.
“Dimentichiamo troppo facilmente che nella nostra vita tutto è dovuto al caso, sin dalla nostra origine …
caso che peraltro ha la sua parte nell’insieme delle leggi e della necessità della natura e soltanto con i
nostri desideri e le nostre illusioni non ha alcun rapporto. Può darsi che la linea di separazione tra le
determinazioni dovute alle “necessità” della nostra costituzione e quelle originate dagli “accidenti” della
nostra infanzia sia ancora imprecisa; non ci è permesso però dubitare dell’importanza dei primi anni della
nostra vita. Tutti noi mostriamo troppo poco rispetto per la Natura, la quale, secondo le parole sibilline di
Leonardo, precorritrici di quelle di Amleto 1 , “è piena di infinite ragioni, che non furono mai in isperienza.
Ogni uomo, ognuno di noi corrisponde a uno degli innumerevoli esperimenti nei quali queste “ragioni”
della natura urgono verso l’esperienza” (Freud, 1910 pp 275-276).
Tra le altre cose qui Freud si riferisce alle nostre origini e alla varietà dei destini pulsionali che è indecidibile
e paradossale come paradossale è l’interrogarsi sull’inconscio oggetto di indagine e di cura, ma anche
elemento fondante la soggettività. Da qui deriva il profondo travaglio di Freud nella costruzione e nell’uso
del metodo analitico, sia per la descrizione dei casi clinici sia per l’esplorazione delle vicende di grandi
uomini.
“Non è indifferente ciò che un uomo crede di ricordare della propria infanzia, dietro i frammenti di ricordi
sono celate inestimabili testimonianze delle linee più importanti del suo sviluppo psichico (Freud, 1910, pag.
231). Nella nota aggiunta nel 1919 Freud si chiede “Cosa ci sarebbe di strano che il più precoce ricordo
d’infanzia, conservato sotto simili travestimenti, riguardasse la madre, sia in Goethe che in Leonardo?
Freud si riferisce ai due noti ricordi di infanzia di Goethe e di Leonardo, entrambi collegati alla relazione
primaria con la madre. Goethe in “Poesia e verità” descrive il suo ricordo di infanzia: buttava fuori dalla
finestra il vasellame, rompendolo e facendo rumore. Freud lesse questo gesto come un’azione magica contro
il fratellino, un intruso fastidioso da buttare fuori. Con questo gesto Goethe esprimeva il proprio senso di
trionfo perché a nessun altro figlio era lecito turbare l’intimo rapporto che aveva con la madre. Goethe
sarebbe stato geloso non tanto della sorellina vicina di età, ma dei fratelli nati dopo di lui e morti
precocemente durante l’infanzia. Il ricordo d’infanzia di Leonardo, invece, si riferisce al nibbio che entra
mentre lui è in culla: gli apre e gli percuote la bocca. Chiaramente non è un ricordo, ma una fantasia. La
fantasia viene ricondotta alla primissima infanzia e sembra essere una fantasia orale passiva: forse la
rielaborazione di un ricordo del capezzolo della madre nella bocca del bambino. Per Freud la genesi
dell’omosessualità è data dal rovesciamento dell’attività (succhiare) in passività (essere penetrato dal
capezzolo/pene). Egli ipotizza che dietro l’omosessualità non agita di Leonardo ci sia la fissazione alla
madre. In tal senso Freud prova ad esplorare e a ricostruire le vicende della prima infanzia di Leonardo
andando a ritroso dal fantasma e dal ricordo conscio al ricordo e al fantasma inconscio. La costruzione di
questo processo è però molto più complessa di quanto si possa immaginare: il rapporto tra le istanze dell’Io,
la realtà esterna, i ricordi e i fantasmi percorre infatti sentieri tortuosi. A tal proposito mi sembra interessante
la necessità che Virginia De Micco rintraccia, durante il seminario, di costruire un terreno di copertura per
tutto ciò che non è avvenuto, nell’accezione winnicottiana, e quindi non è ricordabile e nemmeno
dimenticabile.
Green si è interessato molto a Leonardo e alle costruzioni di Freud sulla sua opera.
Il cartone di Leonardo “La Vergine e il Bambino, Sant’Anna e San Giovanni Battista” (National Gallery,
Londra) rivela un significato nuovo a Green (2022) che comincia a produrre pensieri mai pensati: mentre
Freud rintraccia significati da segni controversi, Leonardo nasconde significati segreti. Green vede nel
1 Amleto: “Vi sono più cose in cielo e in terra, di quante se ne sognano nella vostra filosofia” in Atto I, Scena
I, Amleto di W. Shakespeare, 1600-1602.
cartone di Londra significati che rimandano alla teoria freudiana che Freud non aveva esplicitato nei suoi
lavori su Leonardo: la fusione madre-bambino e le teoria sessuali infantili ad esempio.
Per Green (2022) l’incontro tra Freud e Leonardo si realizza in ciò che per loro è il figurabile: per Leonardo
la pittura e per Freud la rappresentazione. La conoscenza non perde mai lo slancio, liberandosi dalle fonti
corporee, dalla materia che lega sensualmente il soggetto al corpo della madre, distacco necessario, ma anche
compito indefinitamente perseguito e mai del tutto realizzato. L’uso del chiaroscuro, l’evanescenza emanata
dal soggetto, è come se racchiudessero il senso nascosto del lavoro psichico di Leonardo e riportassero a
quello che per Green è l’enigma delle origini e la sua impossibile traduzione a livello cosciente.
Il fantasma originario sarebbe un motore che spinge la ricerca e la conoscenza, ma rimane fuori dalla sua
portata. Le rivelazioni dell’incompiuto riguardavano la spinta inconscia di Leonardo, l’evidenza
dell’impossibilità di concludere un’opera in modo definitivo, perché la pulsione da cui ha origine è destinata
a rimanere inespressa. Forse si potrebbe ipotizzare che Leonardo abbia sublimato con la forza dell’arte
l’insoddisfazione amorosa, creando figure in cui la fusione del maschile e del femminile potrebbe
rappresentare l’appagamento dei desideri del bambino innamorato della madre.
Questo discorso sembra risuonare con quello di Elisa Coletta che, durante il seminario, attraverso alcuni
fotogrammi del film Nostalgia di Tarkovskij, cerca di mostrare il tentativo del regista di rendere figurabile il
rapporto con l’originario, possibile e impossibile, a partire da un collegamento con il dipinto di Piero Della
Francesca “La Madonna del Parto”, nella cappella di Monterchi, luogo fisico di congiunzione immaginaria
con l’origine-originario e sua nostalgia.
Tornando a Green, egli non si addentra molto nell’infanzia di Leonardo, come aveva cercato di fare Freud,
costruendo ipotesi e postulando un’impronta materna amplificata dall’assenza di una figura paterna, che
potesse spiegare ossessioni pittoriche come il sorriso leonardesco. Green ritiene che sia plausibile attribuire
a questo sorriso un significato di reminiscenza, di nostalgia e di aspirazione a ritrovare qualcosa di cui si è
stati molto presto privati. Quindi si chiede perché il fantasma del recupero di quel sorriso dovrebbe avere
meno valore del ricordo di ciò che realmente potrebbe essere avvenuto?
Tuttavia conosciamo bene i percorsi intrapresi, interrotti e poi ripresi da Freud nel tentativo di conoscere ed
esplorare “verità storiche” e al tempo stesso la sua tensione etica nella costruzione del metodo psicoanalitico
che lo porterà poi verso l’approdo alla verità del rimosso.
Come ci ricorda anche Chianese (1993), si costruisce e ricostruisce, dunque, e non è opportuno, né
necessario cambiare le nostre mappe, dal momento che in psicoanalisi esiste un’inscindibile sovrapposizione
tra mappa e territorio, ovvero tra il metodo analitico e l’inconscio oggetto di indagine, ma anche elemento
che fonda la soggettività e consente il transfert nella relazione analitica. Se alteriamo il territorio, rischiamo
di compromettere anche i fini e gli scopi del viaggio.
“Ci si accinge, dunque, ad usare ogni singola possibilità come punto d'appoggio e a colmare le lacune tra
un frammento e l'altro secondo la legge, per così chiamarla, della minor resistenza, dando cioè la
preferenza ad ogni ipotesi cui si possa ascrivere la maggior verosimiglianza. Ciò che si ottiene in questo
modo si può concepire come romanzo storico. Non ha valore di realtà, solo uno indeterminabile, poiché la
verosimiglianza non coincide con la verità”. Freud (1934-1938, p. 335)
Il rapporto storiografia-psicoanalisi viene utilizzato da Freud nel mettere a confronto la formazione di
leggende, la storiografia antica, che spesso nascondeva le vere origini di un popolo e le costruzioni difensive
del paziente riguardo al proprio passato. Nella “clinica” si deve mettere in atto un'opera di decifrazione per
scoprire dietro ai ricordi di copertura e alle costruzioni del paziente la sua verità storica, allo stesso modo che
la verità storica di un popolo deve essere decifrata dal materiale leggendario e da quello falsato dalla
storiografia antica. Inizialmente l'archeologia come metodo offre a Freud la garanzia di quella oggettività
esente da speculazione che egli ha sempre perseguito, ma la metafora archeologica subisce diverse modifiche
nella sua opera. L'analista come l'archeologo fa delle “aggiunte” a ciò che risulta incompleto nello scavo (mi
riferisco alle ipotesi di Freud sui vuoti delle vicende cliniche descritte), utilizzando modelli tratti da altre
esperienze, ma indica dove la “costruzione” si sovrappone alla parte autentica. Per Freud lo psicoanalista è
sempre in contatto con la complessità dei motivi e con la “sovradeterminazione” e non può quindi ricorrere
alle astuzie del letterato e dell’artista che inseguono la bellezza. Lo scavo dello psicoanalista-archeologo, che
prima coincideva col metodo analitico, nell’ultimo Freud rappresenta solo un “lavoro preliminare”: ipotesi e
congetture in attesa delle risposte del paziente per raggiungere almeno un sicuro convincimento. Credo sia
molto condivisibile l’idea di Chianese secondo cui l’esigenza che sostiene il metodo archeologico di Freud
sarebbe simile a quella che fa nascere e sviluppare la metafora metapsicologica: l'esigenza di spazializzare il
tempo, di trattenerlo, di costringerlo in uno spazio chiuso. Questa idea si oppone all'infinità del tempo,
all'interminabilità dell'analisi e alla pluralità delle interpretazioni, presenti in altri momenti del discorso
freudiano. Come in Freud è incerto il metodo di decifrazione e di ricostruzione del Mosè, una simile
incertezza la ritroviamo nelle ricostruzioni di un caso clinico. L’ultimo Freud, però, non è più interessato
all'identità psicologicamente e storicamente data, egli è approdato ad una verità analitica: l'identità non è
uno, ma due, l'uno e l'altro, Mosè è sia l'Ebreo, sia l'Egizio.
Non esiste un contenuto separato dalle sue ripetizioni, il fantasma originario (la scena primaria, la seduzione,
le origini e la castrazione) è il corpo delle sue ripetizioni. In questa prospettiva, la posteriorità sarebbe una
elaborazione retrospettiva di significati che vanno a costituire il significato e la complessità indefinibile del
fantasma. Gemma Zontini nel seminario intercentri, a proposito una riflessione sui ricordi dei quali non si
conosce la provenienza, diceva che ricordiamo, dimenticando (rimuovendo) qualcosa la cui origine
concerne quel campo intermedio tra l’innato e l’acquisito, tra lo schema ereditario e lo schema tramandato
nella specie, tra l’originario e l’origine. Nel corso di tutta la sua opera Freud tenta ostinatamente di colmare
un vuoto nel passato remoto, di colmarlo con un evento, ma, tornando alle conclusioni del nostro seminario,
è in questo vuoto “originario” incolmabile che si origina lo spazio analitico. Allora il continuo procedere
indietro e avanti è parte del metodo freudiano, ma anche del nostro operare analitico.
*Maddalena Ligozzi, Psicoanalista, Membro Associato SPI-IPA, Tesoriere CNP
Bibliografia
D. Chianese, 1993, “Il Mosè e le costruzioni. Itinerari interrotti” in Rivista di Psicoanalisi (39)
A Green, 2022, “Rivelazioni dell’incompiuto. Leonardo da Vinci”, Alpes, Roma
S. Freud, 1910, “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci”, in Opere vol. 6
S. Freud, 1917, “Un ricordo d’infanzia tratto da ‘Poesia e verità’ di Goethe” in opere vol. 9
S. Freud, 1934-1938, “L’uomo Mosè e la religione monoteista” in Opere vol. 11
S. Freud, 1914, “Ricordare, ripetere e rielaborare” in Opere vol. 7