di Roberto Musella
Mia madre odia le carote
Corrispondenza psicoanalitica tra sconosciuti. Anoressia, corpo, sessualità
Mimesis Edizioni
Il bel libro di Paolo Cotrufo e Zoe “Mia madre odia le carote” (prefazione di Antonino Ferro) nasce da un’idea editoriale innovativa e convincente. Si tratta di un libro insolito, nel suo genere una novità nel panorama psicoanalitico. Esso riproduce fedelmente lo scambio epistolare elettronico, della durata di nove mesi, tra il collega psicoanalista Paolo Cotrufo e Zoe. Dietro lo pseudonimo di Zoe si nasconde una giovane donna anoressica, autrice del popolare blog Mia madre odia le carote da cui è tratto il titolo del libro.
Il volume riprende in forma di “romanzo epistolare psicoanalitico”, come scrive Nino Ferro nella prefazione, alcune felici intuizioni psicoanalitiche di Cotrufo sull’anoressia (Cotrufo, 2005 e 2014) ed è evidentemente rivolto ad un pubblico esteso che può avvicinarsi, attraverso di esso, ad alcune delle tematiche centrali della psicoanalisi. La pulsione, la sessualità infantile, il fantasma, la dinamica delle relazioni d’oggetto, le difese, il sogno sono presentati con delicata profondità rendendo il libro un’intelligente opera di divulgazione psicoanalitica che può avere successo tra il vasto pubblico e che, accanto al riuscito impianto stilistico e narrativo, propone interessanti spunti di riflessione anche agli addetti ai lavori.
Cotrufo affronta il pulsionale attraverso un’ottica freudiana riveduta dai contributi di J. Laplanche (1987, 2005). Nelle trame della teoria di Cotrufo ritroviamo anche gli echi ferencziani della Confusione delle lingue tra adulti e bambini (Ferenczi, 1933). La pulsione, che è premessa del desiderio e che per Cotrufo è figlia della seduzione, rappresenta un corpo estraneo con cui il soggetto deve fare i conti, imparandone a gestire la forza traumatica e vitale come a più riprese insegnano generazioni di psicoanalisti a partire da Freud. L’anoressia rappresenta un baluardo difensivo nei confronti della pulsione orale debordante come indicato dallo sconfinamento che si manifesta, puntuale, con l’abbuffata bulimica.
Il libro presenta una trama singolare con uno scambio affettivo d’intensità crescente che disvela il reciproco coinvolgimento transferale e controtransferale delle parti. Entrambi sono apertamente ed evidentemente presi dalla relazione che si va sviluppando. La strada esplicitamente indicata è quella cui dovrebbe mirare sempre la psicoanalisi: liberare affetti da mettere al servizio della vita.
Il nome dietro cui si nasconde la coautrice deriva dal greco dove ζωή, Zoé, rappresenta l’essenza intima della vita rispetto al più generico βιος, Bios, che rappresenta la vita in un senso più indistintamente biologico. Zoe ha dunque paura di vivere intimamente, ha paura di provare desiderio, ha paura della propria sessualità ma sembra via via decidere di cominciare a giocare le proprie carte.
L’analista ribadisce che lo scambio di e-mail con Zoe non costituisce alcuna forma di terapia che si propone di affiancare o sostituire (e come potrebbe?) l’imprescindibile lavoro fatto di sudore e sangue che si consuma nelle nostre stanze di analisi, ma di un testo che si presta alla divulgazione di una tematica quanto mai attuale. Nelle intenzioni dichiarate da Cotrufo si tratta di un testo didattico, rivolto inizialmente agli studenti, che si risolve per essere un sasso lanciato nello stagno della modernità in attesa di una risposta. È un libro che vuole aprire alla psicoanalisi, introducendola, non avendo la pretesa di indicare strade alternative alla tecnica terapeutica. Come felice risultato di questo intento, il libro si conclude con la consegna definitiva di Zoe alla sua analista in carne ed ossa.
L’escursione di Cotrufo nel mondo del web introduce una riflessione che si impone. La rarefazione quanto mai attuale del nostro privilegiato oggetto di osservazione (gli analizzanti in un setting psicoanalitico classico) ci porta a considerare, in un’accezione ristretta che il libro sembra suggerire, l’apertura di campo della psicoanalisi a nuove forme di comunicazione. In un mondo in cui le vorticose trasformazioni sociali, economiche e culturali sono sotto gli occhi di tutti, quello che colpisce di più è la rarefazione degli oggetti libidici di relazione, oggetti che perdono sempre più la loro corporeità erotica. In una realtà sempre più virtuale, nascosti dietro tentacolari protesi tecnologiche, si pensa di essere in contatto con tutti e si finisce col non essere in contatto con nessuno. La vita stessa finisce per essere dominata dal narcisismo e gli oggetti finiscono per diventare sempre più estensioni artificiali della propria soggettività. Fa bene Nino Ferro ad evocare il bel film di Spike Jonze “Lei” in cui il protagonista, immerso in un mondo in cui le relazioni umane sono diventate sempre più rarefatte e l’uso della tecnologia ha quasi interamente sostituito la vita reale, comincia ad avere una relazione sentimentale con il nuovo sistema operativo del suo computer. La relazione comincia ad incrinarsi quando il desiderio della coppia di avere una vera esperienza sessuale si scontra con l’assenza corporea del sistema operativo e precipita nell’artificio fallace di ricorrere ad un corpo preso a prestito.
Come sopravvive la psicoanalisi, che rivendica l’esigenza di un setting rigoroso dalla elevata frequenza e dalla lunga durata, alla modernità in cui i contatti umani sono sempre più rarefatti e sempre più sostituiti da protesi tecnologiche? Se come dice Freud (1912), nella Dinamica della traslazione, “nessuno può essere battuto in absentia o in effigie”, che posizione prendiamo noi rispetto alle nuove frontiere della psicoanalisi? La posizione che prende Cotrufo sembra essere quella di proporre una terza via, un’interfaccia che si faccia capace di ascoltare una domanda criptica, proponendosi di rispondere in un linguaggio accessibile.
In un mondo che corre sempre di più, 10 mega, 20 mega, 100 mega, 1.000, 10.000… e in cui il disagio profondo resta sempre lo stesso, si allontana sensibilmente la possibilità di essere veramente ascoltati. Dalle frontiere dell’iperspazio abbiamo bisogno di analisti che parlino il linguaggio degli Avatar per poter comunicare con pazienti che sono diventati piacevolmente insensibili (Confortably numb) come dice Cotrufo (2014) ispirato dalla musica e dal testo dei Pink Floyd:
Pronto?
C’è qualcuno qui dentro?
Fammi un cenno se mi senti.
C’è qualcuno in questa casa?
Coraggio, dai,
Ti sento un po’ giù.
Dai che posso alleviarti il dolore
E rimetterti in piedi.
Tranquillo.
Anzitutto ho bisogno di informazioni.
Solo le cose principali.
Puoi dirmi dove ti fa male?
(trad. mia)
Lo scopo del libro non è proporre un’estensione del metodo a setting virtuali. Lo scopo principale è mostrare ai lettori come parla il disagio psichico, la natura profonda della sofferenza e l’importanza della cura attraverso le parole e la relazione. Per far questo la psicoanalisi deve essere in grado di usare nuovi linguaggi e nuove forme di comunicazione che siano in grado di trasmettere chiaramente il suo specifico umano, affettivo, corporeo e pulsionale senza il quale non ci può essere alcuna cura possibile. L’inattualità della psicoanalisi non può che resistere fiduciosa perché fin quando esisterà un corpo vivo, erotico e pulsionale, in ultima analisi un corpo umano, questo esigerà prima o poi la sua libbra di carne.
Bibliografia
Cotrufo P. (2005) Anoressia del sessuale femminile: Dal caos alla costituzione del limite. Milano, Franco Angeli.
Cotrufo P. (2014) Comfortably numb. Il corpo anoressico nel setting analitico. Rivista di Psicoanalisi, 60:45-62
Ferenczi S. (1934). Confusione di lingue tra gli adulti e il bambino. Il linguaggio della tenerezza e il linguaggio della passione. In Opere Vol. 4, Milano, Cortina, 2002.
Freud S. (1912) Dinamica della traslazione. O.S.F. 6
Laplanche J. (1987) Nuovi fondamenti per la psicoanalisi. Roma, Borla, 1989.
Laplanche J. (2005) I Tre saggi e la teoria della seduzione. Rivista di Psicoanalisi, 51, 849-862.
Roberto Musella
Febbraio 2016