Centro Napoletano di Psicoanalisi

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Amnesie e costruzioni d’infanzia

di Cecilia Ieri

Portami con te lontano
…lontano…
nel tuo futuro.
Diventa mio padre, portami
per la mano

(A mio figlio Attilio Mauro che ha il nome di mio padre,
Giorgio Caproni)

Il 12 aprile 2025, a Roma, si è svolto l’Intercentri CPdR-CNP su tema Ricordi D’Infanzia, incontro interdisciplinare e primo movimento di apertura di questioni proprio su questo concetto, decostruzione generativa dello stesso e di ciò che può apparire ‘certo’, proprio come accade rispetto ad alcuni ricordi o anche rispetto a ciò che talvolta appare come ‘nessun ricordo’.

“…Quella volta che…”, “…è stato…”, “…mi ricordo bene…”, “niente…non ho ricordi…” divengono souvenirs d’enfance, da poter intendere dunque in molteplici modi.

I ricordi d’infanzia, ricostruzioni in aprés-coup attraverso il lavoro psichico di deformazione di impressioni sensoriali-affettive e di pensieri di un altro tempo, possono essere intesi come ‘eventi’, solo a patto di tenere in mente tutta la polivalenza che alberga nel loro statuto di ‘realtà’.
La loro natura di ‘immagini’ ricostruite-costruite contiene infatti frammenti trasformati e stratificati di esperienze variegate, aspetto che li rende materiali impregnati di anacronismo più che testimonianza di qualche ‘verità storica’.

Sembra immaginabile pensare a due categorie di ricordi: i ricordi d’infanzia, la cui natura è prevalentemente all’insegna della ricostruzione, comunque soggetti alla deformazione, e a ricordi sull’infanzia, intesi come ricordi-costruzioni frutto dell’esperienza del lavoro analitico.
Categoria di ricordi, la seconda, più infiltrata da forme di temporalità contraddittorie, tra tempo che non passa e tempo bloccato, tra infiltrazioni dell’infantile e glaciazioni, in relazione ai quali – in analisi – occorre lavorare sulla possibilità di costruzione di frammenti di preistoria.
Frammenti di preistoria-ricordi dove possano albergare tracce del prima delle parole, componenti del funzionamento prelogico della mente ma anche depositi di materiale da costruzione legato ad una genealogia di ordine transferale legata all’esperienza di analisi.
La soggettività radicale della memoria generata dalla deformazione consente infatti che possa essere la stessa esperienza dell’analisi a costruire ‘istanti-frammenti’ dove il materiale del racconto (presente o assente) possa divenire materiale analitico (Fédida). Ispirandosi alla figura-mista dei sogni si può immaginare una sorta di composizione mista di materiali come possibile esito del lavoro di costruzione in analisi, tra ‘oggettività’ della storia e soggettività possibile della memoria, in una mescolanza, bene che vada funzionale, tra tradizione e nuove genealogie possibili.
Nei momenti fortunati del trattamento delle sofferenze-limite, come analisti, accogliamo e patiamo i burrascosi esiti di un progresso regressivo che mi sono trovata ad immaginare come una strana memoria affettiva dell’infanzia, stato psichico paradossalmente non molto diverso dal desiderio di un proprio futuro.

Tra ‘di quelle coste vuote mi resta soprattutto l’abbondanza del cielo’, di Saer (“L’arcano”) e il recupero di un frammento di un passaggio di Rilke (“Il libro d’ore”), ‘credo a tutto quello che non è mai stato’, provo a procedere, in après-coup, al ripensamento della mattina di lavoro.

L’infanzia come ciò che continua ad abitare il nostro essere adulti, la costruzione di ricordi come possibilità di ripresa e di riparazione in après-coup, il ricordo come incessante lavoro di deformazione (Maurizio Balsamo), la funzione di copertura di buchi dei ricordi-costruzioni (‘lavoro di copertura’, Virginia De Micco), il tentativo di disamina del loro statuto, delle loro funzioni, la possibilità di costruire ricordi d’infanzia con una valenza trasformativa che consente l’uscita dal ‘sole negli occhi-accecamento dal passato’, quel passato che non esce di scena, facendo mancare la possibilità della messa in gioco del presente e del futuro. I ricordi sull’infanzia come messa al lavoro costruttiva e continua dello psichico attraverso deformazioni, a partire da un luogo mitico originario fondativo-fondante il dispiegarsi spiraliforme, tra punti di repere e progressioni circolari, di stratificazioni possibili e rimando ad un ‘primo incontro’ con qualcosa che viene dall’altro e/o dall’Altro (Balsamo).

Queste, tra le tante, alcune delle questioni che si sono aperte con le introduzioni di Balsamo e De Micco, a cui è seguito un intervento ricchissimo e approfondito a tutto campo di Zontini come un precipitato di messa in forma di ‘nodi’ e di proposte di pensiero.
Si sono poi avvicendati gli interventi interdisciplinari di Elisa Coletta, storica dell’arte, di Giuseppe Armogida, Docente di Estetica, e quelli di Silvia Mondini (psicoanalista CVP) e Antonella Sessarego (psicoanalista CPF), a cui sono seguiti spunti e domande da parte di molti dei partecipanti.

L’apertura della mattina di lavoro ha visto Balsamo e De Micco delineare, se pur in modo diverso, possibili scenari di pensiero e di lavoro sul tema.
Balsamo, recuperando la distinzione freudiana tra ricordi sull’infanzia e ricordi dell’infanzia, identifica due possibilità complementari: da una parte la possibilità del lavoro di stratificazione e dell’après-coup nella ricostruzione e dall’altra i ricordi sull’infanzia come contro-infanzia e come funzione di protezione dell’infanzia. In linea con Lyotard, Balsamo, ricorda che anche l’operazione di scrivere (su cosa si scrive, perché si scrive) chiama sempre continuamente in causa ciò che è in sofferenza e che vari pensatori hanno chiamato inconoscibile, infanzia, inarticolabile, ecc.
De Micco, a partire da infanzia e infantile e tra infanzia terminabile e interminabile, sottolinea il molteplice statuto dei ricordi, tra eccedenza dell’infantile che ci attraversa chiedendo dunque velatura, attraverso una possibilità di amnesia infantile, e il lavoro di copertura dei buchi, di tessitura somato-psichica che la costruzione di ricordi in analisi può avere rispetto al crollo e a ciò che avrebbe dovuto esserci e non c’è stato.

A seguire l’intervento vivace, galoppante e approfondito di Zontini, tra Lectio Magistralis e un precipitare di interrogativi volti a delineare una costellazione di questioni aperte su cui interrogarsi e a cui sono seguite alcune proposte di messa in forma, di punti di repere possibili sul tema.
Il susseguirsi di domande di partenza (ad es. come si ricorda? la memoria è diffusa o localizzata? rapporto tra memoria e oblio? come si costruiscono i ricordi? relazione tra percezione e memoria? come si conserva un ricordo? che cos’è una traccia mnestica? si ricorda ciò che è saliente? qualcosa della percezione-sensazione deve pur restare? rilevanza del fattore economico della percezione-sensazione per rappresentanza psichica?) sembrano delineare in maniera ampia ma pertinente un territorio vasto e interdisciplinare (memoria in psicologia, in neurofisiologia, in psicoanalisi) da cui partire per poi identificare dei nodi specifici e proposte di pensiero.
Tra le più interessanti la necessità di indagare la configurazione dei ricordi rispetto a quella delle tracce mnestiche, di distinguere tra memoria e traccia mnestica, il poter immaginare forme di localizzazione di memorie ‘ben temperate’, la ripresa e la messa in forma di tipi diversi di rimozione, dove una prima forma consente che senza ‘il disturbo dell’affetto’ i materiali possano piombare nell’inconoscibilità, e una seconda rimozione, il cui tragitto, da traccia percepita a traccia mnestica, consente al ricordo una ulteriore e progressiva liberazione dall’affetto, consentendo poi il passaggio da identità di percezione a identità di pensiero.
Rispetto alla questione freudiana costruzione-ricostruzione, Zontini sottolinea che questa ha un suo interesse per quanto riguarda i ricordi ma non per le tracce mnestiche: il ricordo di copertura riprenderebbe una traccia percettivo-informativa e la trasformerebbe in una traccia mnestica deformata facendola divenire complanare.
Il lavoro di costruzione dei ricordi, a parere di Zontini, chiama in causa varie tracce, quelle dell’evento, tracce di altro dello stesso periodo, tracce successive e pensieri e altre cose che vengono ricordate.
Per Zontini l’infanzia non è affatto innocente, proprio per questo deve essere dimenticata, dando vita a ricordi di copertura. Si tratta dunque di un ‘ricordare dimenticando’, di poter immaginare l’infanzia anche come metodo che a partire dal polimorfismo infantile lo fa divenire poi ricordi di copertura. Rispetto al poter mettere in forma la propria storia, tra costruzione e ricostruzione, l’infanzia si può vedere anche come il metodo da cui si impara per poterne costruire una.
Al tempo stesso l’infanzia, ‘monumento alla società’, monumento di una cultura collettiva riguarda anche la costruzione di teorie sessuali infantili, il lavoro sul sessuale infantile, le operazioni di rimozione dell’infantile.
Intesa come ‘metodo’ ovviamente l’infanzia non la si ricorda o si ricorda qualcosa solo ‘a sprazzi’.
Rispetto alla particolare composizione del problema memoria-oblio, per Zontini, ‘si ricorda dimenticando’ e tenendo al tempo stesso dei punti di repere.
Sulla questione del ricordo in Lacan, Zontini sottolinea la necessità di distinguere tra un primo Lacan, con la questione della ricostruzione, e un successivo Lacan che in relazione al reale pone invece quella della costruzione.
Zontini affronta poi la questione dei ricordi con reviviscenza allucinatoria, della relazione tra ricordi, allucinatorio e ‘oggetto’ e quella dell’umano nella presa tra biologico e il dispositivo impersonale del linguaggio. Se qualcosa va storto nella possibilità di dare vita ad uno ‘scorrimento del godimento’ non si crea possibilità di allucinatorio né marcatura del significante nel corpo, in questi casi la traccia resta senza notazione e non diventa ricordo. Zontini brevemente illustra anche i ricordi che ‘si fanno’ ma non si pensano, i déjà vu di cui non è certa la fonte, i ricordi ‘a permutazione dell’Io’, i ricordi frammentati come pezzi confusi di una storia impossibile da recuperare, i ricordi sorgenti, i bot (griefbot) e identità digitali, le memorie interdette.

Elisa Coletta, Storica dell’arte, seguendo un percorso da Piero della Francesca (con “La madonna del parto”) a Tarkovskij e utilizzando alcune proposte di Hurbert Damish (Le jugement de Paris), illustra il progetto dell’autore di una Iconologia Analitica, tra memoria collettiva e storia dell’arte, tra l’abbracciare l’ipotesi dell’inconscio e la possibilità di varie forme di figurabilità da indagare gettando un ponte tra dimensione del sogno, lavoro del sogno e arte.
Coletta, riprendendo il primo testo di Iconologia Analitica di Damish (Un souvenir d’enfance par Piero della Francesca), evidenzia come “La madonna del parto” di Piero della Francesca avrebbe dato forma di icona ad un interrogativo dell’uomo rispetto all’originario e riprende poi la questione di due livelli di figurabilità, dove il secondo sarebbe quello dell’opera, dato dalla sua capacità di produrre essa stessa immagini, di mettere in moto rimemorazioni e catene di significanti negli spettatori.
Tra i molti spunti decisamente interessanti del suo intervento sembra importante riprendere la messa in figurabilità del rapporto con l’originario, possibile e impossibile, da parte di Tarkovskij, che Coletta evidenzia attraverso alcuni fotogrammi, a partire da un collegamento al dipinto e da varie immagini della capella di San Galgano, luogo fisico di congiunzione immaginaria con l’origine-originario e sua nostalgia.

In après-coup possiamo immaginare questi spunti, l’incontro tra terra-fango-cielo-originario come una messa in figura dell’anelito, del continuo interrogarsi umano attorno all’originario e come la ricerca di relazione con un’esperienza in fondo sempre insostenibile e ovviamente mai ontologizzabile.
Solo restando di fronte al proprio desiderio (talvolta anche folle e impossibile) di dire, pensare, scrivere, incontrare l’originario, può avvenire quel doppio movimento, crocevia delle possibilità di abitare il paradosso, per cui si continua a mancare e al contempo ad incontrare, grazie al tentativo continuamente incompiuto, tramite l’inattuale e l’intempestivo, ciò che si fa garante dell’umano.

Brevi, incisivi e ficcanti i due momenti-intervento di Giuseppe Armogida (Docente di Estetica, Accademia di Belle Arti, L’Aquila), che si interroga su come dire dell’essenziale dell’infanzia là dove essa è in primis rimando ad un’esperienza muta. Armogida si interroga sull’infanzia, sulla possibilità o meno di ‘dire l’infanzia’ attraverso il linguaggio. Nel domandarsi se esista un’infanzia dell’uomo come un prima dell’avvento del linguaggio, a suo parere, ci si può interrogare sul problema della traduzione del soggetto che si dice ‘Io’ in un atto linguistico e al contempo occorre domandarsi se esista qualcosa che si possa chiamare soggetto umano senza che vi sia un soggetto linguistico.
Nell’ ultimo intervento di fine mattina di lavoro, nel riprendere alcune questioni, a partire dall’affermazione ‘il futuro non viene da fuori, c’è solo se c’è in te’ Armogida propone uno sguardo sul lavoro dell’analista (anche) come artista, attraverso il rovesciamento del vertice di Aristotele. A suo parere, l’analista-artista, guardando il passato come possibile e il futuro come necessario, può assumere uno sguardo per cui sono proprio le promesse mancate e i desideri irrealizzati ciò che ha la possibilità di divenire concreto.

In chiusura di questo après-coup questi i pensieri che si fanno avanti.
Di fronte all’invivibile del reale e all’impossibile conoscenza della realtà, all’inevitabile crollo dell’onnipotenza e dell’illusione, le varie forme di infanzia, tra quella possibile proprio perché dimenticata e l’altra, costruita perché necessaria, per poter vivere e divenire/restare sufficientemente vivi, se pur alle prese con la catastrofe, la costruzione di souvenirs d’enfance diviene una necessaria e paradossale possibilità di decostruzione del vuoto, di disfacimento della continua spinta allo slegamento, sede di oggettualizzazioni e legami inediti, e l’attesa dell’infanzia può essere pensata come operatore psichico per immaginare, ‘credere’ di poter incontrare futuri possibili.
Parafrasando Lyotard, l’infanzia costruita diviene possibilità di esposizione ad un improvviso e brutale inimmaginabile che mina la figurabilità e la parola ma al tempo stesso le convoca e le reclama.
L’infanzia, i ricordi sull’infanzia, sarebbero dunque possibile deriva e approdo, costruzioni per entrare in contatto con ciò che non è né nel mondo, né fuori dal mondo, ma si presenta come nuova potenzialità di ‘essere al mondo’, appuntamento sempre anelato e al tempo stesso impossibile con la catastrofe.
La catastrofe del ‘venire al mondo’, cioé del trovarsi incessantemente alle prese con qualcosa di originario.

*Cecilia Ieri, Psicoanalista, Membro Associato SPI-IPA, Segretario Scientifico CPF 2025-2028