Proposte di lettura

“Il confronto amoroso con l’altro ha in comune con il ritorno del rimosso di non prodursi mai senza che non sia fatta effrazione all’Io. Perchè là dove l’amore si risveglia, muore questo despota oscuro che è l’Io. […] Più che l’incontro [d’amore], bisogna dire questa volta: il trauma, l’effrazione, l’io attaccato e spossessato.
La nostra ipotesi è che questo lato dell’amore , il suo nucleo, ha con la femminilità qualche profonda parentela, che la femminilità è la qualità stessa dell’alterità, o, più precisamente, dell’apertura (amorosa) a quest’ultima. Ciò che in altri termini si può sostenere con Freud – ma contro il Freud che teorizza la femminilità -, affermando che l’elemento femminile è il “rimosso per eccellenza”. […]
Gli uomini di ogni tempo si sono rotti la testa sull’enigma della femminilità. Povere teste umane bagnate di sudore. Il prosieguo di questi sforzi millenari invece di alleggerire l’impresa la rende al contrario più rischiosa […]. In questi luoghi, l’inquietante e lo strano tardano a divenire familiari; avventurarsi in essi esige al meglio dell’audacia, al peggio della pretesa.”
Alle origini femminili della sessualità, Jacques Andrè (1996), Borla, Roma, pp. 17-18

“[…] un’ultima volta, in Analisi terminabile e interminabile, Freud presenta la lotta empedoclea tra unificazione e disaggregazione, tra Philia e Meikos (amore e discordia) come la prima forma filosofica data alla lotta tra pulsioni di vita e pulsioni di morte. È allora che la coppia formata da Ananke e Logos (necessità e ragione) è incaricata di trattare l’eterogeneità tra la rivendicazione pulsionale (che include la distruttività) e il legame attraverso le parole (colpevolezza inclusa).
Con l’irruzione del nazionalsocialismo, tutto avviene come se questa antinomia diventasse caduca. Come se la tenaglia in cui l’umano sembrava ineluttabilmente preso (da un lato la libertà del nostro stato di natura è violentemente limitata dalla ferocia del mondo esterno, dall’altro duramente limitata dalle rinunce pulsionali necessarie alla coesione sociale) si frantumasse sotto il peso della massa saldata organicamente, sostanzialmente, concretamente. Eppure, tra minaccia di assassinii a catena e fondazione della socialità, questa stretta determina il cuore del paradosso culturale, formulato ne L’avvenire di un’illusione: “Ciascun individuo è virtualmente un nemico della civiltà, cui pure gli uomini, nella loro universalità, dovrebbero essere sommamente interessati” (Freud S, 1927, OSF 10, p.436).

Infatti, già nel 1927 Freud si chiedeva se “i presupposti che regolano i nostri ordinamenti statali” non dovessero, allo stesso modo delle dottrine religiose, essere chiamati illusioni[…]D’altra parte, “l’affermazione di certi nazionalisti in base alla quale gli Indogermanici sarebbero l’unica razza umana capace di cultura” è una credenza appoggiata sulla realizzazione del desiderio e fortificata dall’indifferenza alla realtà. Così, dall’errore alla credenza, e secondo un grado maggiore o minore di disgiunzione dal reale, l’illusione può portare il più vicino possibile all’idea delirante. Fino al momento in cui l’illusione non assumerà le sembianze di affermazioni scientifiche promosse da filologi, antropologi e archeologi, con il consenso appassionato che a quel punto proverà quanto alle masse poco importi della verità, quanto in esse l’irreale prevalga sempre sul reale, e come esse tendano a non fare alcuna differenza tra l’uno e l’altro.”
Che cosa ha fatto il nazismo alla psicoanalisi, Laurence Kahn (2023, Alpes, Roma, pp.12-13)

“Quando si privilegia il campo della teoria, si è spesso obbligati a fare delle separazioni molto nette, nel tentativo di comprendere fenomeni psicopatologici i cui effetti si presentano in una forma intricata, che non vuol dire simmetrica, nel campo clinico. Nondimeno possiamo avanzare che ove si resti nel registro della nevrosi, il davanti della scena psichica e della scena sintomatica è occupato dal conflitto che oppone due Io. Per questa ragione il nevrotico può formulare, a ragione, il suo conflitto in termini di desiderio, amore, godimento, interdetto, castrazione. Le ripercussioni del conflitto nel registro dell’identificazione si ritrovano beninteso anche nella nevrosi, ma nel suo campo il conflitto identificatorio consente che le due componenti dell’Io preservino la loro indissociabilità, riguardando soltanto la relazione dell’Io ai suoi ideali o a quelli che gli altri sono supposti avergli imposto.
Va in modo differente nella psicosi. Qui l’interdetto non è più su un certo oggetto, uno scopo, un oggetto particolare, ma su ogni posizione desiderante che non sia stata proposta e legittimata arbitrariamente dal desiderio, dalla decisione, di un’istanza esterna.
La mira e spesso la conseguenza di un tale abuso di potere saranno d’interdire ogni rappresentazione che l’identificante potrebbe darsi di se stesso, in nome di una scelta di cui potrebbe rivendicare l’autonomia. Sarà accettata dallo sguardo, dal discorso e dall’investimento dell’altro soltanto una posizione di desiderato o d’identificato è […].”
Come una “zona sinistrata”, di Piera Aulagnier, in Momenti psicotici nella cura, AA.VV., a cura di Maurizio Balsamo (Franco Angeli, 2014, p.51)

“La sublimazione è certamente una delle croci (in tutti i sensi del termine: punto di intersezione, di incrocio, ma anche ciò che mette in croce) della psicoanalisi ed una delle croci di Freud.
[…] il concetto di sublimazione è presente di primo acchito in Freud, fin dal 1895 con le lettere a Fliess. Ma fin dall’inizio e fino alla fine la sublimazione sarà più citata che sviluppata e analizzata: anziché un concetto, è come l’indice di un’indagine che bisognerebbe portare a termine, un compito da assolvere, una nozione indispensabile ma mai «còlta» nel 𝘉𝘦𝘨𝘳𝘪𝘧𝘧, nel concetto. Lo testimoniano, tra gli altri, due momenti: nel 1915 Freud mette in cantiere un trattato di metapsicologia che deve comprendere una dozzina di capitoli, tra i quali per l’appunto un testo sulla sublimazione. Questo testo, come del resto, non ha mai visto la luce, è stato distrutto; sono solo rimasti, sfuggendo alla riprovazione o alla insoddisfazione di Freud, quelli che sono attualemente pubblicati nella raccolta intitolata Metapsicologia, una raccolta mutilata dallo stesso Freud. Molto più tardi, nel 1930, ne Il disagio della civiltà Freud si trova nuovamente di fronte al medesimo compito incompiuto. La soddisfazione sublimata, ci dice, possiede «una qualità particolare, che certamente un giorno riusciremo a caratterizzare in termini metapsicologici» (OSF, vol.10, p.571).

Non soltanto la sublimazione si mostra difficile da caratterizzare in teoria , ma il più delle volte si sottrae alla descrizione clinica, soprattutto nella cura, dove è menzionata come un esito senza mai essere mostrata all’opera, individuata come un processo […]
Che cosa mette in gioco la sublimazione, nel suo termine stesso, nella sua metafora? La sua metafora gioca sul termine di sublime: da una parte il riferimento filosofico, dal momento che il sublime è una delle categorie dell’estetica filosofica; dall’altra la metafora chimica, dal momento che la sublimazione in chimica è definita come il passaggio diretto di un corpo, senza intermediario liquido, dallo stato solido allo stato gassoso. […È il] «Processo postulato da Freud per spiegare certe attività umane apparentemente senza rapporto con la sessualità, ma che avrebbero la loro molla nella forza della pulsione sessuale. Freud ha descritto come attività sublimate soprattutto l’attivitàartistica e l’ #indagineintellettuale .La pulsione è detta sublimata nella misura in cui essa è deviata verso una nuova meta non sessuale e tende verso oggetti socialmente valorizzati» (Enciclopedia della psicoanalisi, J.Laplanche e J.-B. Pontalis, Laterza 1997, p.618) […]Ciò che dunque è messo in gioco è una metapsicologia e, parallelamente, una teoria dei valori, due campi che distinguiamo soltanto provvisoriamente, giacché non è certo che siano assolutamente irriducibili l’uno all’altro.”
La sublimazione. Problematiche III, Jean Laplanche, (Mimesis edizioni,2022, pp.18-21)